Dallo studio dei felini, nuovi spunti per le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Un cervello che invecchia come il nostro, ma più efficiente nel linguaggio
I gatti, notoriamente più indipendenti da noi rispetto ai cani, possiedano in realtà somiglianze sorprendenti con gli esseri umani, in particolare quando si parla di cervello e invecchiamento. Gli scienziati hanno infatti scoperto che l’evoluzione del cervello dei felini, invecchiando, segue traiettorie molto simili a quelle degli esseri umani, tanto da offrire nuove prospettive per comprendere malattie come l’Alzheimer.
Contrariamente a quanto i più credono, i gatti hanno anche una grande capacità di associare parole a immagini.
Una funzione che, pur sembrando tipicamente umana, è sorprendentemente rapida ed efficiente nei felini.
In uno studio recente, i gatti sono stati in grado di associare nuove parole a oggetti con una rapidità superiore a quella di un bambino: bastano appena 9 secondi di esposizione, contro i 20 necessari a un bimbo. Questo risultato non solo conferma l‘intelligenza dei gatti, ma li rende anche un modello ideale per studiare il declino cognitivo e l‘invecchiamento cerebrale, gettando luce su possibili analogie con i processi neurodegenerativi umani.
Declino cognitivo: meglio studiare i gatti
Gli ultimi risultati del progetto “Traslating time” presentati alla Lake conference on comparative and evolutionary neurobiology di Seattle e rilanciati dalla rivista “Nature” hanno rilevato che i topi, generalmente utilizzati per la ricerca, risultano in realtà inadeguati per comprendere alcuni aspetti dell’invecchiamento umano.
I loro cervelli sono molto diversi dai nostri e non sviluppano i classici tratti distintivi del morbo di Alzheimer. I cambiamenti del cervello dei gatti legati all‘invecchiamento, invece, sono molto più simili a quelli riscontrati negli esseri umani, per esempio evidenziando l’emersione di segni di atrofia.
I gatti: modello ideale per studiare l’invecchiamento cerebrale
Da qui è dunque partito il “Catage Project”, che ha portato a raccogliere cartelle cliniche e risultati delle analisi del sangue di migliaia di felini, una cinquantina dei quali sono stati sottoposti a scansioni cerebrali.
A 15 anni, che corrispondono a 80 di un uomo, i ricercatori hanno dunque notato che i gatti iniziano a sperimentare un declino cognitivo, con cambiamenti nel volume cerebrale che corrispondono a quelli di un uomo anziano. Già alcuni lavori precedenti avevano del resto dimostrato che i gatti possono accumulare placche e grovigli di proteine anomali come nell’Alzheimer umano.
L’efficienza dei gatti nell’imparare le parole
Se in età avanzata il cervello dei gatti può essere paragonato a quello dell’uomo, in età adulta risulta invece più efficace rispetto a quello di un bambino in un’attività ritenuta al contrario tipicamente umana, al massimo canina, come la formazione di associazioni tra parole e oggetti tipica della comunicazione verbale.
Lo evidenzia uno studio pubblicato su Scientific Reports e basato su test ai quali è stato sottoposto un campione di 31 gatti.
Felini al pc, attenti alle parole
Posti davanti a un computer, sono state proposte loro 2 animazioni diverse, ognuna delle quali associata a una diversa parola inventata pronunciata dal padrone.
In un secondo tempo, le stesse immagini sono state riproposte, ma nella metà dei casi cambiando la parola che le accompagnava.
Una situazione che ha suscitato perplessità negli animali, che si sono soffermati stupiti a guardare lo schermo più a lungo nelle situazioni in cui è avvenuto il cambiamento, fissandolo in alcuni casi con le pupille dilatate, a conferma della massima attenzione.
Non è stata, così, solo confermata la loro capacità di associare parole e immagini, ma è stato riscontrato che questa avviene già dopo soli 9” di ripetizione contro i 20” necessari a un bambino.
Alberto Minazzi