In un mondo dominato dalla tecnica e dalla scienza, accade che un filosofo faccia il tutto esaurito.
Due incontri fissati a Mestre, in provincia di Venezia, nell’ambito del Festival delle Idee, nessun posto libero.
Umberto Galimberti rompe gli schemi del pensiero comune, parla di emozioni, insinua dubbi e induce riflessioni. E piace alla gente che, anche in una serata infrasettimanale, prende una pausa dal quotidiano per regalare spazio alla mente.
Così è accaduto anche nella serata del 20 ottobre al Teatro Toniolo di Mestre, dove il professore è stato invitato a parlare del ‘dominio della tecnica’ nel mondo d’oggi.
Un intervento, il suo, diviso in due sessioni, che ha fatto riflettere su come, nel predominare della scienza tecnica, non resti spazio né alla prospettiva politica né a quella etica.
In un cammino che va dalla Grecia antica alla generazione dei nativi digitali, Galimberti ha mostrato cosa l’uomo stia diventando e cosa il futuro riservi per lui.
Nel nome dell’efficienza e della razionalità
Se nel mondo greco antico il rapporto tra uomo e natura si configurava come una relazione equilibrata, è nel secolo della scienza moderna, il Seicento, che la prospettiva subisce una netta modifica. Al valore della natura si sostituisce quello della tecnica, una mentalità unicamente basata sui principi di efficienza e razionalità.
Nel metodo scientifico cartesiano, infatti, l’uomo diventa padrone del mondo. Sono le sue ipotesi che, quando vengono confermate dagli esperimenti, si ergono a leggi di natura. L’umanesimo sta prendendo piede e la natura, al contrario, arretra.
Il personaggio che per il drammaturgo greco Eschilo era il portatore della conoscenza tecnica, Prometeo, viene irrimediabilmente liberato nel mondo e, quindi, si scatena.
L’uomo algoritmo in mano alla tecnica
Così, nell’Ottocento, la tecnica diventa lo scopo primario per l’uomo, la condizione imprescindibile attraverso cui realizzare il “progresso”. Ma, il problema persiste anche nella società attuale: il sapere tecnico è a-finalizzato e, in quanto tale, provoca una serie di conseguenze.
Non c’è più politica, non c’è più etica: l’uomo è diventato un algoritmo in mano alla tecnica.
Senza questi fondamentali appoggi, però, l’uomo smarrisce la bussola dell’orientamento.
‘Oggi – rivela Galimberti – ci troviamo senza indicatori.’
L’ideologia della crescita
Questo perché il dominio della tecnica e l’ agognato “progresso” stanno relegando l’uomo a strumento per realizzare uno scopo.
‘I fini dell’economia che punta solo sulla crescita – spiega Galimberti all’interno dell’intervento – sono anche i nostri fini? O siamo noi diventati semplici strumenti dell’ideologia della crescita, la quale ci impiegherebbe come momenti della sua organizzazione, semplici anelli insignificanti della sua catena, o, se preferiamo, mezzi imprescindibili, ma anche fra i più intercambiabili di qualsiasi altro mezzo, all’interno di un apparato economico diventato fine a se stesso?’
Una possibile via d’uscita: le emozioni
L’intervento di Galimberti si conclude così, in maniera forse un po’ pessimista, ma lasciando molti punti interrogativi su cui riflettere.
Uno fra tutti: ‘come migliorare quindi il nostro futuro?’
La domanda è d’obbligo, specie all’interno del Festival delle Idee 2021.
Nella sua ultima opera, ‘Il libro delle emozioni’, Galimberti offre un piccolo spiraglio di speranza: le emozioni.
La cosa più spontanea dell’uomo, la sfera emozionale, acquista un ruolo fondamentale in questo travagliato panorama.
In una modernità schiacciata dal ‘pensiero calcolante’ della tecnica, si lancia un ultimo grido contro questa assurda razionalità efficiente: ‘L’emozione – spiega il professore – non si pensa, si vive.’
Beatrice Simion
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