Il Dipartimento dell’Energia statunitense ha presentato l’esito dell’esperimento del 5 dicembre.
Le anticipazioni trapelate nei giorni scorsi sono state confermate ufficialmente.
Per la prima volta, attraverso la fusione nucleare, si è riusciti a ottenere in un esperimento di laboratorio un guadagno netto di energia tra quella prodotta e quella utilizzata. Il succo della notizia è tutto in un tweet, quello ufficiale del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti.
“Ultime notizie – è stato scritto sul profilo ufficiale nel social network. – Questo è un annuncio che arriva dopo decenni di lavoro. Il 5 dicembre 2022 una squadra del Livermore Lab del DOE ha fatto la storia ottenendo l’accensione per fusione. Questa svolta cambierà il futuro dell’energia pulita e la difesa nazionale americana per sempre”.
Il sole in uno “stadio”. La fusione del confinamento inerziale
Gli scienziati del californiano Lawrence Livermore National Laboratory hanno sfruttato ben 192 laser in una struttura grande come uno stadio.
La tecnologia su cui stanno puntando gli Stati Uniti in tema di fusione nucleare è infatti quella del confinamento inerziale, alternativa a quella del confinamento magnetico o tokamak che, invece, è al centro degli esperimenti condotti per esempio in Europa sempre per riuscire a riprodurre artificialmente le reazioni nucleari che avvengono in natura nel Sole.
L’obiettivo è comunque lo stesso: arrivare a sviluppare reattori per produrre enormi quantità di elettricità in modo sostenibile, sicuro ed economico.
Le tempistiche sono ancora lunghe, come ha confermato la direttrice del laboratorio, Kim Budil, parlando di “ostacoli significativi” nella prospettiva di un’applicazione commerciale della fusione nucleare.
Cosa hanno fatto i ricercatori
I fasci prodotti dai 192 raggi laser, è stato illustrato nella conferenza stampa di Washington, in pochi miliardesimi di secondo si sono concentrati colpendo gli atomi di “idrogeno pesante”, ovvero deuterio e trizio, contenuti in una sfera grande un paio di millimetri inserita in un contenitore cilindrico di metallo a sua volta posizionato in una camera a vuoto, da cui cioè è stata estratta l’aria.
All’interno del contenitore si sono generati raggi X che hanno a loro volta prodotto il plasma, ovvero un gas formato da particelle con carica elettrica, necessario per raggiungere la temperatura e la pressione in grado di avviare il processo di fusione degli atomi di idrogeno.
Dalla reazione, così, si sono prodotti atomi di elio e l’energia liberata dalla trasformazione di parte della massa degli atomi di deuterio e trizio, circa 3 mega joule, ha superato i 2 mega joule immessi nella capsula tramite i laser.
Le riflessioni dello scienziato
Dopo l’annuncio degli Stati Uniti, sono subito iniziati i commenti della comunità scientifica.
Tra gli esperti, il fisico nucleare Luca Romano, conosciuto anche come “avvocato dell’atomo” per la sua grande competenza in materia, ha tenuto a esporre alcune precisazioni relative alla notizia.
“Questo annuncio – è la premessa – è sicuramente importante dal punto di vista della ricerca scientifica. Ma, al tempo stesso, va detto che non ha applicazioni pratiche immediate”.
L’affermazione di Romano si lega innanzitutto alle considerazioni sulle due tecnologie al centro degli studi, il confinamento tramite laser e quello magnetico, che puntano in direzioni ben diverse.
“La linea di questi esperimenti statunitensi – chiarisce – non guarda immediatamente alla produzione civile di energia, ma è stata sviluppata nella prospettiva di una sua applicazione in ambito militare. Anche perché la durata di pochi nanosecondi del processo rende assai difficile estrarre grandi quantità di energia”.
Gli obiettivi del confinamento magnetico
Ecco perché Romano, nella prospettiva di un futuro massiccio impiego dei moderni reattori per la produzione di elettricità, punta sulla tecnologia del confinamento magnetico.
“Sono semplicemente – chiarisce – tecnologie che fanno cose diverse. E la prospettiva di un reattore in grado di funzionare per decine di minuti o addirittura in modo continuativo, come quella della tecnologia tokamak, è pensata proprio per la produzione di energia. Magari un giorno, si potrà pensare anche al confinamento inerziale a tali fini, ma servirà arrivare a laser che sparino una volta al secondo e non una volta al giorno, come invece avviene oggi”.
A proposito del laser, l’avvocato dell’atomo tiene anche a commentare il tema della resa e del guadagno energetico netto, che è il grande traguardo raggiunto negli Usa.
“Se è innegabile – precisa – che si sia arrivati a produrre 3 megajoule dalla fusione di atomi colpiti dai 2 megajoule dei laser, va sottolineato che, per produrre questi raggi, sono serviti 300 megajoule e che, nel cilindro, è entrata energia pari ad almeno 4-5 megajoule. La resa globale di sistema è quindi comunque inferiore, per la bassa efficienza del laser e per il fatto che, per scaldare in maniera perfettamente uniforme la capsula, non si può intervenire su di essa in maniera diretta”.
Il tema del trizio
Anche sul tema dell’economicità dell’energia prodotta dalla fusione, rileva Romano, va fatta una precisazione. Il trizio, infatti, al momento ha un costo molto elevato.
“Questo si deve al fatto che in natura è rarissimo – spiega –e che la produzione umana per ora avviene, per di più in quantità molto ridotte, solo in reattori di fissione ad acqua pesante: filiere che attualmente sono attive esclusivamente solo in Canada e in India”. C’è però una prospettiva: “In futuro si spera di riuscire a produrlo, in una sorta di ciclo chiuso, nei reattori tokamak dalla fissione del litio 6”.
Una possibilità che dovrà comunque essere testata negli esperimenti del megareattore Iter, in via di realizzazione in Francia, anche se il Covid ha già ritardato i tempi, visto che, dall’iniziale scadenza del 2025, l’accensione è ora prevista per il 2028, con i primi test sul plasma, mentre i primi esperimenti sulla fusione non avverranno prima del 2035.
“Il litio – conclude il fisico – è la vera chiave, perché, tanto più se rapportato alle esigenze della fusione, ce n’è grande disponibilità. Ed è per questo che si può parlare di una fonte di energia pressoché inesauribile. Oltre che non fonte di scorie radioattive di alto livello e durature nel tempo, sebbene le componenti dei radiatori, al termine del loro ciclo di vita, dovranno essere considerate come rifiuto radioattivo”.
Alberto Minazzi