Dal dna al microbiota fino all’epigenetica. Ma la chiave della felicità sta nel “flow”.
È arrivata la primavera, le giornate si allungano, profumi e colori cambiano, c’è più voglia di stare insieme all’aria aperta. È innegabile: la maggior parte di noi, con la bella stagione appare più felice.
Eppure, anche se è un dato di fatto che questi mesi dell’anno influiscono in positivo sul nostro umore, la formula della felicità non è così semplice.
“La felicità – conferma lo psicologo e ricercatore Massimo Agnoletti – è uno dei concetti più complessi che possiamo esprimere come specie umana”. Anche solo dare una definizione di “felicità”, insomma, è impresa non semplice. Anche perché lo stesso mix di aspetti psicologici, molecolari, chimici e biologici è in continua evoluzione.
Felicità e genetica
Relativamente agli aspetti materiali della felicità, una teoria tutto sommato recente era arrivata a quantificare attorno al 50% la componente di ereditarietà genetica della felicità.
Un risultato percentuale preciso legato al metodo adottato: il confronto della diversità di risposte ai test sul livello di felicità individuale date da gemelli omozigoti, che condividono il patrimonio genetico, rapportata alla diversità riscontrata tra gemelli eterozigoti.
“A distanza di qualche anno – spiega Agnoletti – questa metodologia, utilizzata generalmente per stimare il contributo genetico negli studi di natura psicologica, non solo sulla felicità, è stata assolutamente sconfessata. Questo perché adesso ne sappiamo molto di più sul microbiota del nostro organismo e sull’epigenetica delle nostre cellule. Perché tutto quello che ereditiamo dai nostri genitori non passa solo attraverso il dna”.
Felicità, epigenetica e microbiota
Fin dalla creazione nel ventre materno del primo zigote, che poi darà vita alla nuova creatura, l’uomo ha in sé anche un patrimonio di memoria cellulare epigenetica. Ovvero di informazioni, contenute pur sempre all’interno dei cromosomi, che però non modificano la struttura del dna. “Sono – illustra lo psicologo – una sorta di interruttori che possono essere modificati a seconda dei comportamenti. Ad esempio, se un genitore è sedentario, mangia male ed è obeso, c’è una maggior probabilità che questo passi anche nei figli”.
Se, allora, non possiamo cambiare il colore degli occhi, il 95%-97% delle informazioni genetiche possono essere modificate in questo modo. E questo può influire anche sul livello di felicità.
Così come gioca un ruolo fondamentale il microbiota.
Ovvero l’insieme di batteri, virus e funghi ereditati inizialmente soprattutto per via materna, che vivono nel nostro corpo, con un loro dna e hanno un impatto anche a livello psicologico, come protagonisti dell’eziologia di molte problematiche: dall’ansia alla depressione, dall’autismo alla schizofrenia.
Felicità oggettiva e soggettiva
Il microbiota, tra l’altro, produce il 90% della serotonina, uno dei neurotrasmettitori fondamentali, a livello biologico, per la felicità.
“La felicità – conferma Agnoletti – ha sicuramente una componente oggettiva, richiedendo la presenza di certe molecole, senza le quali è difficile essere felice. Ma, ovviamente, non ci si può limitare a questo.
La nostra persona esprime felicità in modo molto complesso, in un intreccio di reazioni che coinvolgono dalla mente ad aspetti fisico-chimici. E anche a livello soggettivo esiste una parte biologica”.
La chiave della felicità, a livello di meccanismi psicologici, è stata da qualche anno individuata nel “flow”, o “esperienza ottimale”. Ma lo stato di flusso presuppone sempre anche uno sforzo volontario.
“Pur con un’architettura biologica specifica comune a tutti – riassume il ricercatore – questi meccanismi aumentano con le microesperienze soggettive che viviamo nel momento in cui stiamo facendo una cosa che vogliamo fare solo per il gusto di farla e avendo un equilibrio tra le proprie capacità e la complessità dell’azione”.
Flow e felicità
Più elevata è la frequenza con cui si provano dei “flow”, in altri termini, più si è felici e, per inciso, come hanno evidenziato alcune ricerche, più si è sani.
Ma non bisogna commettere l’errore di confondere il semplice piacere edonistico con questo tipo di esperienze.
“Se – fa un esempio Agnoletti – giocare a tennis mi risulta estremamente gratificante, sicuramente vorrò tornare a farlo quanto prima. Ma la definizione stessa di flow implica che si facciano cose non banali”.
“Il flow – prosegue lo psicologo – ti chiede infatti al tempo stesso di imparare e di migliorarti nel corso del tempo, di porti scopi e obiettivi. Sono diverse anche le parti del cervello attivate ad esempio da cibo, droga o sesso e quelle, ben più complesse, legate alle esperienze ottimali. E se non si alza l’asticella della complessità delle attività, ponendosi obiettivi sempre più alti, si passa rapidamente alla noia”.
Felicità e ambiente
Dunque, non esiste una regola univoca, per essere felici.
Di certo, lo ripetiamo, un aiuto adesso ci arriva dal risveglio primaverile.
“Anche l’influsso del clima – conclude Massimo Agnoletti – vede un’interazione tra variabili strettamente biologiche e psicologia. Vedere fiorire il verde intorno a noi, ad esempio, ci fa bene. Se poi uno è depresso o ansioso, basta una passeggiata di un quarto d’ora nel bosco per ricevere input, anche epigenetici, che migliorano la salute.
Ma in aggiunta ai lati oggettivi, la complessità dell’essere umano porta a toccare sempre anche la soggettività, per cui, alla fine, è solo ciascuno di noi a poter sapere cosa lo rende veramente felice”.
Alberto Minazzi