Ad Atene stupì il mondo, a Pechino si confermò. E nel 2020, l’arciere padovano Marco Galiazzo,potrebbe essere l’unico, tra gli olimpionici veneti attualmente in attività, ancora in gara.
Siamo alla resa dei conti. Momenti emozionanti in attesa della decisione del Coni su quale delle due candidate italiane, Roma o Venezia, sarà la portabandiera nazionale alla corsa all’Olimpiade 2020. Il comitato veneziano ha teso l’arco e scoccato la freccia che dovrà colpire il bersaglio della competizione a cinque cerchi. Un percorso lungo che richiederà nervi saldi e concentrazione per raggiungere l’obiettivo. Fondamentali che sono l’essenza della disciplina del tiro con l’arco, caratteristiche che si possono riassumere in una sola persona, in un solo atleta che nelle precedenti edizioni olimpiche ci ha fatto sognare. In particolare ad Atene nel 2004 quando quel giovane ragazzo padovano di ventuno anni riuscì a stupire tutto il mondo agonistico, superando in finale un avversario che sembrava avere già l’oro in tasca, il giapponese Hiroshi Yamamoto, alla quinta Olimpiade. Lui è Marco Galiazzo. Nato a Padova il 7 maggio 1983, non ama le luci dei riflettori. È un ragazzo schivo che ha cominciato a convivere con la popolarità guadagnata grazie ad un palmares di primo piano. Entrato a far parte del gruppo sportivo dell’aeronautica, la sua passione per l’arco è diventata ora un lavoro a tutti gli effetti.
E nel 2020, dato che la sua disciplina non prevede limiti di età per gli atleti, potrebbe essere ancora protagonista proprio sui campi di gara della sua terra. Come hai accolto la candidatura del capoluogo veneto, con l’appoggio di Treviso e anche della tua Padova? «Se questa scelta servirà a risolvere tutti i problemi di Venezia ben venga. Non parlo solo dal punto di vista sportivo, potrebbe essere un viatico per far ripartire l’economia, che tanto sta soffrendo. Poi bisogna credere fermamente nel progetto, serve la voglia di Olimpiadi. Ci sono molte cose da fare, mancano le strutture, nel padovano in particolare, per il mio sport non ci sono campi di gara adeguati ed è difficile prepararsi durante la stagione. Non esistono palestre al chiuso riservate al tiro con l’arco. Le poche strutture dove si può tirare sono appannaggio di altre discipline, dal calcio alla pallavolo. Ci sono stati i campionati in Fiera a Padova, ma non sono sufficienti» . Se a dirlo è l’atleta che è stato il campione europeo indoor a squadre a marzo in Croazia, assieme a Michele Frangilli e Massimiliano Mandia bisogna credere alle sue parole. «Ci vogliono strutture capienti. La sola linea di tiro deve essere lunga 18 metri, a cui dobbiamo aggiungere cinque metri per posizionare tutto il resto, purtroppo nulla di tutto questo esiste, se non a Torino. Non deve mancare assolutamente nulla». Cosa pensi se consideriamo che potresti diventare testimonial della candidatura olimpica? «Sinceramente non ho mai preso in considerazione questa opportunità.
Ci sono atleti che riescono a promuovere la loro immagine e lanciare in questo modo anche la loro disciplina, ma non è il mio caso. Io sono e rimarrò un atleta, amo e mi concentro solo sul lato agonistico del mio sport». Ma sarebbe straordinario poter vivere l’atmosfera olimpica nella nostra regione. «Quello che più mi è rimasto dell’esperienza a cinque cerchi è sicuramente il villaggio olimpico. Anche in occasione dei campionati mondiali ogni atleta trova i migliori della sua disciplina, ma nei villaggi che ospitano le olimpiadi sono rappresentati tutti gli sport. È un momento veramente emozionante, che ti rimane dentro. Poi non si può dimenticare la conquista di una medaglia, la possibilità di difendere i colori del proprio paese, emozioni uniche nel loro genere». Dopo l’oro del 2004, sei tornato quattro anni dopo a difendere il titolo a Pechino nel 2008 da favorito, rimanendo purtroppo escluso nelle eliminatorie. Poco prima però eri riuscito, assieme a Di Buò e Nespoli, a strappare un altro incredibile argento nella competizione a squadre. «Quando perdi vuol dire che il tuo avversario è stato più bravo di te. Devi riconoscere i tuoi errori e ripartire.
Serve la massima concentrazione per vincere, bisogna saper reagire nei momenti più difficili. Sino all’ultima freccia si può cambiare la situazione». Dopo l’ottima prova in Croazia quali sono i suoi prossimi obiettivi? «Terminata la stagione indoor, adesso si apre quella all’aperto con l’appuntamento dei campionati italiani di fine maggio a Rovereto. Poi in ritiro con la nazionale per prepararsi al meglio ai prossimi mondiali, nel 2011 a Torino, prova di qualificazione per le Olimpiadi di Londra 2012». Traguardi ambizioni quanto la candidatura per le Olimpiadi del 2020. E l’augurio è che freccia scoccata dal comitato organizzatore veneziano, possa essere precisa come quelle che partono dall’arco di Marco Galiazzo.
DI ALESSANDRO TORRE