Un’analisi dell’evoluzione della figura per la festa del 19 marzo: padri a quasi 36 anni, 3 su 5 hanno approfittato dei giorni a casa per la nascita di un figlio
Che papà si festeggiano, nel 2024, per la festa del 19 marzo loro dedicata?
La domanda è volutamente provocatoria, perché se la ricorrenza è stata inserita nel calendario fin dal 1479 da Papa Sisto IV, nel giorno in cui morì San Giuseppe, padre putativo di Gesù, la vecchia figura del capofamiglia col passare degli anni ha progressivamente registrato una serie di cambiamenti sostanziali.
Tendenze che, dopo un quarto di secolo del terzo millennio, sono ormai consolidate: gli uomini italiani mettono al mondo il loro primo figlio sempre più tardi, conoscono meglio il congedo di paternità e, pur con un cambiamento sociale più lento, si assumono crescenti responsabilità nella cura della prole.
Papà italiani over 36: i più vecchi d’Europa
In occasione della festa del papà 2024, la Società italiana di andrologia (Sia) si è soffermata in particolare su un’analisi dell’età dei neo-padri, e sulle conseguenze che ne derivano, sottolineando che, secondo gli ultimi dati Istat, la media di anni a cui si diventa papà per la prima volta, nel nostro Paese, è di 35,8.
La più alta d’Europa, pensando che in Francia si scende a 33,9 e in Germania a 33,2. Ma non solo: il 70% degli uomini italiani, più di 1 su 3, a 36 anni, non ha figli.
“In Italia – spiega il presidente della Sia, Alessandro Palmieri – l’età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni Novanta ai circa 36 attuali. Questo significa che, nel giro di pochi decenni, si è passati da una situazione nella quale solo una ridotta minoranza arrivava senza figli all’età di 35 anni a una nella quale la maggioranza della popolazione maschile rinvia oltre questa soglia anagrafica la prima esperienza di paternità”.
Congedo genitoriale per 3 padri su 5
Sempre la festa del papà 2024 ha offerto a Save the Children l’occasione di diffondere i risultati elaborati sulla base dei dati Inps relativamente al congedo di paternità.
E di fornire dunque un’immagine di come sono oggi questi padri più maturi.
Che sempre più si avvalgono dei congedi familiari.
Basti pensare che, rispetto al 19.25% del 2013, i padri che ne hanno usufruito in Italia nel 2022 sono stati 172.797: il 64,02% del totale, tra il 65,88% del primo figlio e il 62,08% del secondo o successivi.
L’identikit del fruitore medio del congedo, secondo Save the Children, ha tra i 30 e i 49 anni (la percentuale più alta, 65,6%, tra gli over 40), lavora in imprese più grandi (77%) con un contratto di lavoro stabile (69,49%), ha un reddito tra 28 e 50 mila euro (85,68%) e vive in una regione settentrionale.
Perché restano significative differenze territoriali: la forbice va dall’85% di Pordenone e l’83% di Vicenza al 24% di Crotone.
Introdotto nel 2012, il congedo di paternità è passato dall’iniziale previsione di un solo giorno obbligatorio e due facoltativi all’attuale formula di 10 giorni obbligatori e 1 facoltativo, fruibili tra i 2 mesi precedenti e i 5 successivi al parto. Un obiettivo che si pone la misura è quello di coinvolgere sempre più i padri nella gestione della prole, sollevando nello specifico le madri da alcune incombenze in un periodo particolarmente delicato della loro vita.
La paternità posticipata e i problemi di fertilità
I “papà over” hanno una marcia in più.
Tuttavia, il rinvio della paternità, sottolineano i medici della Società italiana di andrologia (Sia), può creare seri problemi.
La fertilità raggiunge infatti il picco massimo tra i 20 e i 30 anni, con numerose evidenze scientifiche che mettono in luce un peggioramento progressivo, all’aumentare dell’età, delle caratteristiche funzionali dello spermatozoo, come motilità e morfologia.
Inoltre, invecchiando, peggiorano anche i danni genetici a livello di dna, evidenziando così l’importanza di un anticipo della scelta di procreare.
A insidiare la fertilità maschile, che Palmieri ammette essere “in netto declino”, è anche l’esposizione agli inquinanti ambientali esterni.
Tra questi, negli ultimi anni è stato dimostrato l’influsso negativo delle microplastiche sulla potenzialità fecondante del maschio. E pure i cambiamenti climatici hanno il loro peso: all’aumento delle temperature si ricollega infatti una riduzione volumetrica dei testicoli. Da qui, l’importanza di adottare stili di vita sani.
“Bisogna insegnare alle giovani generazioni l’importanza di una fertilità sana al momento giusto – conclude il presidente Sia – che va preservata fin da giovani”.
I possibili danni per i figli
Non c’è però, ammoniscono gli andrologi, solo un problema di fertilità, legato all’età avanzata del padre. Soprattutto quando il concepimento avviene oltre i 45 anni, è la stessa salute del nascituro a correre rischi. Sono numerosi, in tal senso, gli studi che documentano come dall’età più avanzata del genitore maschio possano derivare conseguenze che si manifestano alla nascita o anche nel corso del tempo.
Uno studio pubblicato su Nature ha addirittura quantificato in 1,51 le mutazioni genetiche ulteriori che si trasmetterebbero ai figli per ogni anno d’età in più del padre, con un incidenza di un quarto superiore a quella delle mutazioni dipendenti dalla madre.
In un’altra ricerca, pubblicata sulla stessa rivista scientifica, si è invece avanzata l’ipotesi di un aumento del rischio di sviluppare autismo o schizofrenia nei figli di genitori più anziani.
Alberto Minazzi