Una delle possibili chiavi per contrastare i gravi effetti provocati nei polmoni dal Covid-19 può essere bloccata con un farmaco già noto da decenni, approvato e utilizzato per l’uso sull’essere umano. È la conclusione cui è arrivato, attraverso studi di laboratorio, un gruppo di ricercatori del King’s College di Londra, dell’Università di Trieste e dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechology del capoluogo giuliano.
I risultati dello studio sono stati da poco pubblicati sulla rivista Nature. Ma non ci si ferma qui, perché si stanno approfondendo ad esempio le possibili connessioni di questo processo cellulare nello sviluppo di trombosi nel 70% dei pazienti che hanno sviluppato la malattia in forma grave. E una sperimentazione clinica della Niclosamide su 120 pazienti ricoverati per Covid-19 è intanto già partita in India, anche se ci vorranno alcuni mesi per arrivare a confermare la concreta efficacia del farmaco per la cura.
La Niclosamide: un farmaco noto
Il farmaco che potenzialmente potrebbe essere utilizzato per la cura del Covid-19, la Niclosamide, è una molecola sintetica sviluppata come molluschicida contro le lumache già negli anni ’50 e poi approvata nell’uomo contro l’infezione intestinale da tenia, il cosiddetto “verme solitario”.
Nonostante la sua solubilità relativamente bassa, l’organismo la assorbe in quantità considerevole. Ed è in grado, come è stato dimostrato, di bloccare uno dei meccanismi che, attraverso la proteina spike del virus provoca la fusione delle cellule.
Nonostante la sua solubilità relativamente bassa, l’organismo la assorbe in quantità considerevole. Ed è in grado, come è stato dimostrato, di bloccare uno dei meccanismi che, attraverso la proteina spike del virus provoca la fusione delle cellule.
«Dire se sia questa la causa della malattia o quanto meno una delle sua componenti fondamentali – premette Luca Braga, capoguppo del laboratorio di Functional Cell Biology dell’ICGEB di Trieste – è prematuro. Sicuramente, al momento, il concetto chiave è che questo farmaco è importante perché in grado di contrastare la creazione di strutture che concorrono alla degenerazione del tessuto polmonare fino alla sua distruzione».
Lo studio
L’idea sviluppata tra Trieste e Londra parte da un precedente studio del 2020, in collaborazione con il reparto di anatomia patologica dell’ospedale di Trieste, sui polmoni di 41 pazienti deceduti per Covid-19.
«I polmoni di queste persone – riprende Braga – erano completamente devastati nel loro tessuto. E, come caratteristica sicuramente tipica delle polmoniti da Covid, risultavano presenti alcune cellule estremamente grandi, con forma anomala e aspetto esteriore prettamente siniciziale».
«I polmoni di queste persone – riprende Braga – erano completamente devastati nel loro tessuto. E, come caratteristica sicuramente tipica delle polmoniti da Covid, risultavano presenti alcune cellule estremamente grandi, con forma anomala e aspetto esteriore prettamente siniciziale».
In altri termini, si era verificato il processo di fusione cellulare tipico della proteina spike quando entra nell’organismo. Si è allora andati alla ricerca di quali farmaci già noti potessero bloccare questa attività fusogena, impedendo sia l’ingresso del virus che la formazione di cellule anomale. Sfruttando l’esperienza decennale di Braga nello sviluppo di saggi cellulari in vitro per la validazione dell’efficacia terapeutica di composti chimici e altre molecole, sono state dunque create artificialmente cellule che utilizzano la proteina spike per testare 3.049 farmaci approvati da Fda e Ema.
Niclosamide e non solo
Si è trattato quindi, per motivi di sicurezza, di una serie di esami su proteine analoghe al Sars-CoV-2 e non direttamente sul virus vivo. Dai primi saggi sono emersi 83 farmaci efficaci per bloccare questa attività della proteina spike. Si è così proceduto ad approfondire il loro effetto, valutandone anche l’attività antivirale. E la Niclosamide è risultato il farmaco con gli effetti migliori, anche se certamente non l’unico in grado di mostrare un’efficacia per contrastare la fusione delle cellule.
«Il secondo farmaco più potente – sottolinea Braga – è l’antibiotico Clofazimina. Un farmaco per il quale, circa 15 giorni fa, proprio Nature ha pubblicato uno studio effettuato direttamente sul virus. E le conclusioni sono state le stesse a cui siamo giunti anche noi. Questo ci conferma l’attendibilità del nostro metodo di screening, nonostante si tratti di una simulazione artificiale». La scelta dei farmaci su cui concentrare l’attenzione, aggiunge il ricercatore, dipende in ogni caso non solo dall’efficacia riscontrata in vitro, ma anche dalla concentrazione massima che è utilizzabile senza che il prodotto diventi tossico per l’uomo.
Il meccanismo di fusione attraverso la proteina spike
Tra le diverse proteine che compongono il Sars-CoV-2, gli scienziati che hanno lavorato a questa ricerca si sono concentrati esclusivamente sulla “spike”. Il canale con cui questa proteina avvia il processo di fusione delle membrane cellulari si chiama “Tmem 16F”. Chimicamente, si tratta di un canale del cloro attivato dal calcio che permette l’esposizione di alcuni domini della cellula che favoriscono la fusione.
Si tratta di un canale coinvolto in processi basilari nell’organismo umano, come la fusione tra ovulo e spermatozoo nella riproduzione. In questo caso, le componenti della cellula alterate dalla proteina spike promuovono in maniera specifica questo canale. E portano, nei polmoni, alla formazione delle cellule anomale, che permangono nell’organo anche oltre un mese dopo lo sviluppo della malattia in forma grave. L’efficacia della Niclosamide si lega dunque proprio alla sua capacità di forte inibizione della famiglia Tmem 16.
Alberto Minazzi
Tag: coronavirus