Un nuovo studio rivela che la pelle chiara si è diffusa in Europa solo 3.000 anni fa
Pur non avendo reperti che ci diano una conferma certa, visto che la pelle non è conservata nei fossili, gli scienziati non hanno dubbi nell’affermare che in principio, quando era più corretto parlare di “ominidi”, la nostra epidermide era solo leggermente pigmentata. A svolgere una funzione di protezione erano allora i peli, che ricoprivano interamente la nostra pelle.
Una volta perso questo naturale manto protettivo, la pelle umana ha così iniziato a scurirsi.
La selezione naturale ha così premiato i “neri”.
Anche nell’Europa preistorica.
Eppure, adesso, proprio pelle, occhi e capelli chiari sono una caratteristica distintiva che si nota tanto maggiormente quanto più ci si sposta verso il Nord del nostro continente. Anche in questo caso, è una conseguenza dell’evoluzione.
Ma questi colori si sarebbero affermati e diffusi progressivamente molto più tardi di quanto si pensasse finora: “appena” 3 mila anni.

Come siamo diventati “bianchi”
A questa conclusione è giunto lo studio “Inferenza della pigmentazione umana dal Dna antico per probabilità di genotipo”, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Ferrara, i cui risultati, in attesa della necessaria “peer review” di convalida, sono stati pubblicati in pre-print sul server di biologia “bioRxiv”.
“Occhi chiari, capelli e pelli probabilmente si sono evoluti più volte mentre l’Homo sapiens si è disperso dall’Africa”, esordisce l’astratto del lavoro, che poi ricorda come “i colori della pelle, degli occhi e dei capelli dipendono dalle diverse quantità, dal tipo e dalla distribuzione di due pigmenti, l’eumelanina (marrone-rosso) e la feomelanina (marrone-giallo), prodotti dai melanociti umani”. “L’esposizione alla luce solare – ricorda la ricerca – induce la degradazione del folato, una molecola essenziale nella sintesi del Dna e nella proliferazione cellulare”. Fu la diffusione dell’uomo preistorico dall’Africa all’Eurasia, dove le radiazioni ultraviolette sono inferiori, a cambiare il regime di selezione, visto che i colori della pelle chiari promuovono la sintesi fotochimica controllata di vitamina D. Fu insomma proprio la radiazione Uv l’agente selettivo più probabile determinando, a fronte di una diminuita necessità di protezione dai raggi solari, l’affermarsi nelle zone settentrionali del pianeta di fenotipi più leggeri. E, unitamente all’adattamento alle condizioni locali, alla deriva genetica e alla migrazione si arrivò così alla determinazione dei modelli passati e presenti della pigmentazione umana.
Uno schiarimento per tappe
Il tempo e la modalità della diffusione di questi modelli, sottolinea lo studio, non sono però noti. Per capirne di più, i ricercatori hanno così provato a partire dal confronto tra 3 approcci diversi all’inferenza della pigmentazione, concludendo che le previsioni più robuste si legano all’utilizzo di un metodo probabilistico che stima le probabilità del genotipo. Questo è stato allora applicato a un ampio set di dati di 348 antichi genomi dell’Eurasia, per descrivere come si è evoluto il colore della pelle, degli occhi e dei capelli tra 45 mila e 1.700 anni fa.
“Il passaggio verso pigmentazioni più chiare – è la conclusione cui sono arrivati gli scienziati – si è rivelato tutt’altro che lineare nel tempo e nel luogo, e più lento del previsto, con la metà degli individui che mostrava colori della pelle scuri o intermedi anche nelle età del rame e del ferro. Era ragionevole immaginare che i primi coloni cacciatori, che provenivano da climi più caldi, avessero per lo più una pigmentazione scura. Ciò che era meno previsto era la lunga persistenza dei loro fenotipi”. Sarebbe insomma più vicina a noi nel tempo rispetto a quanto stimato finora, con dati che iniziano a essere significativi a partire da circa 3 mila anni fa, la “trasformazione” degli europei in uomini bianchi, soprattutto per quanto riguarda le aree dell’Italia, della Spagna e della Russia. “Le cose sono cambiate – commenta lo studio – ma molto lentamente: durante gran parte della preistoria, la maggior parte degli europei aveva la pelle scura. Una tendenza simile è osservata per il colore dei capelli e degli occhi, ma mostrando fluttuazioni”.
La nostra pelle nella preistoria più lontana
Lo studio ha dunque realizzato una sorta di “schema” per esporre i risultati a seconda dei diversi periodi geologici, dal paleolitico all’età del ferro. Tra i 12 campioni risalenti all’era più antica, compresa tra 45 mila e 13 mila anni fa, a mostrare un colore della pelle intermedio è stato solo un campione russo, datato tra 38.700 e 36.200 anni fa. Passando al mesolitico (da circa 14 mila a 4 mila anni fa), dei 66 campioni sono stati dedotti occhi chiari in 11 casi, provenienti da Nord Europa, Francia e Serbia, capelli biondi solo in un campione svedese e uno serbo e una prevalenza di pelli scure (43 campioni), anche se sono emersi 7 campioni con fenotipi intermedi e i primi 3 con fenotipi chiari, in Francia e Svezia.
Quello di un cacciatore-raccoglitore vissuto circa 12 mila anni fa proprio nel Paese scandinavo è il primo caso in cui è stato dedotto un aspetto con pelle chiara, occhi azzurri e capelli biondi.

Altri 132 campioni analizzati erano riferibili al neolitico, periodo da circa 10 a 4 mila anni fa. Di questi, la maggior parte (81 individui) mostravano il fenotipo dell’occhio scuro, ma per 12 è stato dedotto il fenotipo chiaro. Tranne alcune eccezioni (un fenotipo intermedio, 5 chiari e il primo individuo con i capelli rossi, in Turchia), il colore dei capelli è invece stato previsto sempre scuro. Quanto alla pelle, in alcune regioni, tra cui l’Italia, il fenotipo è esclusivamente scuro, ma in 25 casi è stato riscontrato quello intermedio e in 5 una pelle chiara.
La “svolta” dell’età del ferro
Nel progressivo avvicinamento ai giorni nostri, i 42 campioni analizzati relativamente all’età del rame (da circa 6 mila a 3.500 anni fa) conservano una prevalenza di fenotipi scuri. Per gli occhi, quello chiaro è presente in 5 casi (provenienti da Danimarca, Ungheria, Italia e Romania); per i capelli c’è un solo campione (danese) con capelli di colore intermedio e un altro (romeno) con colore chiaro. La pelle, invece inizia a schiarirsi: pur restando prevalente, in 17 campioni, il colore scuro, sono stati osservati toni intermedi in Spagna, Kazakistan e in 7 campioni provenienti dall’Europa centrale, Italia compresa e pelli chiare in 4 campioni da Danimarca, Gran Bretagna e Romania. A carattrizzare i 71 campioni dell’età del bronzo (da 7 mila a 3 mila anni fa) è la crescita di fenotipi dell’occhio chiaro (16 casi, compresi Russia, Giordania e Kazakistan).
I capelli sono in prevalenza scuri (49 campioni) nella maggior parte dell’Europa e dell’Asia, anche se compaiono fenotipi leggeri anche in nuove aree, tra cui l’Italia. E pur restando più elevata la frequenza di fenotipi dalla pelle scura (22 campioni), aumenta (con 4 casi) la combinazione pelle chiara-occhi azzurri-capelli biondi.
Solo nell’età del ferro (da circa 3 mila a 17 mila anni fa) la frequenza delle pelli chiare raggiunge quella delle pelli scure, con una riduzione, nei 25 campioni analizzati, della prevalenza del fenotipo dell’occhio scuro (10 campioni), mentre restano prevalenti (14 campioni) i capelli scuri.
Alberto Minazzi