Uno studio italiano individua i meccanismi di tossicità di un elemento naturale più pericoloso dell’amianto
Si chiama “erionite” ed è un minerale indubbiamente meno noto dell’amianto, che ebbe nello scorso secolo una grande diffusione in numerosi oggetti di uso quotidiano attraverso le tante applicazioni dell’eternit che lo conteneva. Ma l’erionite è centinaia di volte più pericolosa per l’uomo rispetto al fibrocemento, di cui si sospese la produzione dopo aver scoperto negli anni ’60 del Novecento che la polvere di amianto generata dall’usura causava l’asbestosi e la grave forma di cancro chiamata mesotelioma pleurico.
Una vera e propria “fibra killer” che, oltretutto, è in grado di riacquistare all’infinito il suo potenziale tossico, come ha evidenziato uno studio condotto dall’Enea insieme alle Università di Genova e Sapienza di Roma, che ha indagato i finora poco chiari meccanismi alla base della tossicità di questo minerale, pubblicando i risultati sulla rivista internazionale “Journal of Hazardous Materials”.
Il “killer” scoperto in Cappadocia e i rischi legati alle fibre minerali
È da circa 50 anni che ci si è resi conto della rischi per la salute umana legati all’uso dell’erionite.
A partire dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso un’epidemia di mesotelioma pleurico maligno verificatasi in 3 villaggi della Cappadocia, nell’Anatolia centrale, fu infatti ricondotta all’uso di tufo friabile contenenti questo minerale per la costruzione delle abitazioni.
Una pratica comune, quella dell’uso di materiali contenenti fibre minerali, in ambito rurale: dalla pavimentazione delle strade di Turchia, Grecia, Cina e Nuova Caledonia, all’imbiancamento delle pareti, fino alla prduzione di stucchi, stoviglie, terracotte e ciprie.
Una decina d’anni fa, anche in Basilicata, nell’area di Lauria e Castelluccio Superiore, una serie di casi di mesotelioma pleurico fu spiegata con l’esposizione ambientale alla tremolite.
L’erionite: una zeolite nemica dell’uomo
L’erionite fu battezzata con questo nome, legato al greco “erion”, cioè lana, sia per il colore bianco che per l’aspetto dei cristalli, dal mineralogista statunitense Arthur Starr Eakle nel 1898.
Appartiene al gruppo delle zeoliti, minerali presenti soprattutto nelle rocce vulcaniche che vengono impiegati, oltre che in edilizia, soprattutto in agricoltura, visto che sono in grado di combattere naturalmente l’insediamento nelle colture di funghi, insetti, batteri, acari ed altri parassiti, migliorando la disponibilità e l’assorbimento dei nutrienti, aumentando il contenuto in clorofilla delle foglie oltre che la qualità e la quantità delle produzioni. A differenza delle altre zeoliti, che generalmente non sono dannose dell’uomo, l’erionite possiede però un elevato grado di tossicità per inalazione, centinaia di volte superiore a quello dell’amianto, risultando così uno dei cancerogeni naturali più pericolosi per l’uomo, come confermato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.
Come agisce l’erionite nell’organismo
Negli scorsi anni, un altro studio italiano, svolto dall’Istituto di Cristallografia del Cnr in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e il sincrotrone di Grenoble, aveva studiato in dettaglio la struttura atomica cristallina dell’erionite, primo importante passo verso la costruzione di un modello di cancerogenicità al fine di comprendere appieno i processi di cancerogenesi innescati dall’inalazione delle fibre.
Il nuovo studio consente ora di compiere un ulteriore passo avanti, individuando un potenziale meccanismo di tossicità. Analizzando i cambiamenti strutturali e chimici che avvengono nelle fibre del minerale una volta che queste sono fagocitate dalle cellule macrofagiche presenti nei polmoni, è emerso che gli “spazzini” del sistema immunitario innescano uno scambio ionico che determina l’innalzamento del pH e il malfunzionamento dei lisosomi, gli organelli cellulari responsabili della degradazione di corpi estranei.
Dall’inalazione al cancro
In seguito all’innalzamento del pH delle cellule, illustra lo studio, dall’organismo parte un’elevata richiesta energetica, soddisfatta da un’iperattivazione dei mitocondri, che costituiscono la “centrale energetica” della cellula. In pochi giorni ne deriva un aumento di produzione dei radicali dell’ossigeno nei mitocondri e, successivamente, una sofferenza mitocondriale che può portare alla morte cellulare. Ma non solo.
“Data la notevole stabilità chimica dell’erionite nei fluidi biologici – spiegano i ricercatori – questo meccanismo che porta alla morte delle cellule può ripetersi potenzialmente all’infinito. Infatti l’erionite, una volta liberata nuovamente in ambiente extracellulare, è in grado di riacquistare il suo potenziale tossico”. “Ne consegue – è la conclusione – che questo fenomeno porta a infiammazione cronica e al potenziale sviluppo di cancro”.
Alberto Minazzi