Da Venezia l’idea dell’Associazione MarVe per frenare l’avanzamento del cuneo salino anche sfruttando le correnti
Nella morsa del caldo torrido di questo periodo e in assenza di pioggia l’emergenza siccità si è allargata a quasi la metà del territorio dell’Unione Europea.
Secondo quanto emerso il 46% delle campagne sono devastate da forti cali dei raccolti e dal divampare degli incendi favorito dalle temperature particolarmente elevate. E’ quanto rileva l’analisi Coldiretti sulla base dell’ultimo rapporto sulla siccità in Europa a luglio 2022.
Una situazione preoccupante che, in Italia, uno dei Paesi più colpiti dall’evento, ha già fatto perdere 1/3 della produzione agricola con un danno economico stimato in oltre 3 miliardi di euro. E che nei prossimi mesi non è destinata a migliorare. Anzi, il centro studi interno della Commissione UE nell’ultimo aggiornamento appena pubblicato dice che le scarse precipitazioni e la scorsa umidità del suolo dureranno almeno fino a settembre.
A fare i conti con condizioni meteo profondamente più secche della norma sarà in particolare l’Italia settentrionale, con qualche eccezione per l’area a cavallo tra Trentino Alto Adige e Veneto. Al centro e al sud, invece, le precipitazioni dovrebbero essere nella norma o più abbondanti.
Dal Po a Venezia: affrontare il problema del cuneo salino in avanzamento
La pesante siccità ha determinato un abbassamento del livello d’acqua del Po, il più grande fiume d’Italia che fornisce acqua a territori intensamente coltivati. La riduzione drastica delle portate, unita a un progressivo abbassamento dell’alveo del fiume contribuisce alla risalita del cuneo salino, cioè la risalita dell’acqua del mare nel corso del fiume. Le acque salate rischiano così di compromettere l’irrigazione di colture già messe a dura prova dalla siccità.
E’ per questo necessario intervenire per affrontare il problema della mancanza di acqua e del cuneo salino in avanzamento. In questa direzione arriva da Venezia la proposta dell’associazione MarVe (Marine Archeology Research Venice) che nel capoluogo lagunare si occupa in particolare di interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, di ricerca scientifica di particolare interesse sociale.
Il fulcro del progetto “Ipotesi Venezia”: desalinizzare il mare con basi nelle isole
Il progetto parte dal concetto che Venezia è da sempre uno “Stato da mar” – spiega Franca Zannoni, una dei soci fondatori dell’associazione – e dalla ferma convinzione del team che ha realizzato il progetto che bisogna passare dall’idea negativa che si ha del mare per gli eventi drammatici che talvolta crea a concepirlo come una risorsa. La nostra proposta “Ipotesi Venezia” è nata durante il lockdown”.
“Tutto parte – prosegue – dall’analisi della subsidenza, cioè lo sprofondamento del suolo per cause naturali o legate alle azioni dell’uomo, e del riscaldamento globale dovuto ai cambiamenti climatici. Abbiano fatto una ricerca storica per capire come la Serenissima affrontava il problema dell’innalzamento dell’acqua e da lì è nata l’idea di trovare soluzioni nuove che possano evitare di far subire passivamente il fenomeno iniziando a contrastarlo. Come affrontare questa situazione e l’avanzamento del cuneo salino? Attraverso dissalatori da realizzare nelle isole non abitate, nel caso di Venezia».
Dal capoluogo lagunare la proposta che può essere un esempio per fronteggiare la mancanza di acqua potabile
La proposta del progetto, redatto dai co-fondatori dell’associazione Roberto Padoan e Franca Zannoni, come ha spiegato la stessa Zannoni a Metropolitano.it, è proprio quella di realizzare in mare e/o nelle isole non abitate delle piattaforme per i dissalatori. Questi, che potrebbero essere alimentati con l’energia prodotta dalle correnti, permetterebbero di rendere l’acqua del mare riutilizzabile riducendo, nella Laguna di Venezia, l’entrata dalle Bocche di porto di acqua marina nel momento di acqua alta.
«I dissalatori – sottolinea Francesco Coralli, presidente di MarVe – sono una soluzione molto utilizzata in Israele dove è stata desalinizzata una parte del Mar Morto. E l’acqua è stata utilizzata sia per l’irrigazione sia resa potabile. In Italia ne esistono pochi per il momento, però la tecnologia di base arriva dal nostro Paese ed ha trovato all’estero un ampio utilizzo».
«Noi come associazione senza scopo di lucro abbiamo lanciato per ora l’idea, una sorta di sfida – dice Franca Zannoni – che speriamo qualcuno raccolga e metta in pratica. Un altro punto significativo di “Ipotesi Venezia” riguarda l’utilizzo della tomografia elettrica, una tecnica non invasiva di indagine che permette di investigare il terreno e le strutture fondazionali».
Silvia Bolognini
Una idea straordinaria