Un’ indagine Istat lancia l’allarme sulla crescente fragilità economica degli italiani
Nella maggior parte dei casi, la richiesta di un prestito è il segnale di una condizione di fragilità, anche sociale, sia essa momentanea o permanente.
I risultati emersi dalla ‘prima indagine statistica campionaria sul fenomeno delle richieste di aiuto economico da parte dei cittadini realizzata dall’Istat, nell’ambito delle attività e delle priorità dell’Osservatorio nazionale contro l’usura, fanno dunque a loro volta scattare un preoccupante campanello d’allarme.
Nel 2023, il 23,1% degli italiani tra 18 e 74 anni, oltre 9 milioni e 761 mila persone, ha infatti chiesto un soccorso economico a familiari o amici, banche o società finanziarie.
Una percentuale che raddoppia, toccando il 47,6%, se si guarda solo a coloro che si sono dichiarati insoddisfatti della propria situazione economica.
L’Italia dei prestiti nel rapporto Istat
La percentuale più alta di chi chiede un aiuto economico, prosegue lo studio, si riscontra nella fascia 18-44 anni (28,5%), con le Isole (26,3%), come ripartizione geografica, e la Puglia (28,4%), come regione, al primo posto.
La quasi totalità di chi ha fatto domanda di prestito, il 96,5% del totale (pari a oltre 9,148 milioni di italiani), lo ha ottenuto.
Risposte altamente positive sono arrivate da quasi tutte le categorie di soggetti interpellati, anche se la quota più alta di “sì” (97,3%) è quella dei familiari. Non è dunque un caso che, in caso di difficoltà, si punti prima di tutto all’ambito familiare: lo hanno fatto in 5,344 milioni, il 54,7% del totale, con un 31,4% che si è rivolto a una banca e il 22,7% a una società finanziaria.
Anche tra chi ha domandato aiuto a una banca, il 67,3% ha comunque avanzato una richiesta anche ai familiari. Che raramente applicano un tasso di interesse, dovuto invece dal 35,2% di chi chiede un prestito a un qualunque interlocutore (in questo caso, banche escluse). Inoltre, fa riflettere che l’8,5% dei cittadini abbia ricevuto proposte di aiuto economico senza averne fatto richiesta.
La crescita del Pil e le risorse delle famiglie
Nei giorni scorsi, l’Istat ha pubblicato anche le nuove stime dei conti economici territoriali.
Sempre con riferimento al 2023, il Pil è aumentato a livello nazionale del +0,7%, con una forbice tra il +1,5% del Mezzogiorno e il +0,3% del Centro.
Il Sud rimane però in coda, sotto i 24 mila euro annui, per Pil pro-capite, con il Nord-Ovest che invece guida con 44,7 mila euro.
In generale, comunque, la forbice tra Nord e Sud si è allargata su questo e su altri fronti. Per esempio, nella spesa per consumi finali delle famiglie per abitante, valutata a prezzi correnti, è stata pari a 21,2 mila euro, con valori più elevati anche in questo caso a Nord-Ovest (24,2 mila euro) e più bassi nel Mezzogiorno (16,7 mila euro).
Lo stesso discorso vale anche per il reddito disponibile delle famiglie consumatrici, che è cresciuto, a livello nazionale, del +4,9%, con un +5,7% a Nord-Ovest, un +5,1% a Nord-Est (con la Provincia di Bolzano, al +6% per 29,7 mila euro, e il Veneto, con +5,8%, ai primi 2 posti assoluti in Italia), il +4,7% al Sud (Calabria ultima con 16,2 mila euro) e il +3,9% nelle regioni centrali.
L’inflazione a gennaio 2025
Le elaborazioni dell’Istat fanno riferimento ai dati di 2 anni fa, ma l’Istituto continua a pubblicare mensilmente le cifre sull’andamento dell’indice nazionale dei prezzi al consumo. E, nelle stime dell’ultimo bollettino, relativo a gennaio 2025, l’inflazione ha frenato l’aumento dal +1,3% di dicembre, ma aggiungendo un ulteriore +0,6% su base mensile e toccando il +1,5% su base annua.
L’andamento, spiega l’Istat, si lega soprattutto all’“esaurirsi delle spinte deflazionistiche dei prezzi degli energetici a seguito della marcata accelerazione dei prezzi della componente regolamentata”, e al “permanere di tensioni sui prezzi degli alimentari lavorati, i cui effetti si manifestano anche sul cosiddetto “carrello della spesa”.
L’inflazione di fondo, in ogni caso, resta stabile a +1,8%.
Alberto Minazzi