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"Effetto zoom": un nuovo stress per uomini e donne alle prese con il computer

"Effetto zoom": un nuovo stress per uomini e donne alle prese con il computer

Col boom delle videoconferenze, emerse anche nuove problematiche psicologiche

Una pelle spenta e invecchiata, rughe più pronunciate, brufoli più evidenti, occhiaie profonde, palpebre cadenti, alcune macchie sul volto.
O anche un naso sorprendentemente più grosso di quel che scredavamo di avere, un sottomento pronunciato di cui non ci siamo mai accorti davanti allo specchio.
Il computer, a volte, può essere un amplificatore. O distorcere la nostra immagine, generando veri e propri stati di stress e ansia.
Soprattutto oggi quando, causa pandemia, si sono intensificate le videoconferenze in smart working e non sopportiamo più di vedere in quel piccolo riquadro la nostra faccia sempre più imperfetta.
Non siamo abituati ad avere costantemente sotto gli occhi la nostra immagine: mentre ascoltiamo, mentre parliamo, mentre sorridiamo o tradiamo un momento di noia con un’espressione a noi sconosciuta. Ma quello che viene definito “effetto zoom” è un dato di fatto e si traduce in una profonda insoddisfazione.
Chiusi in una scatola, non immaginiamo che in video la nostra immagine viene percepita in modo distorto da noi stessi.
Il tutto con nuove conseguenze psicologiche, che in prevalenza colpiscono le donne (e, in parte, le persone di colore): dall’ansia alla sensazione di sentirsi “in trappola” nell’angusto spazio messo a disposizione dalla webcam.

effetto zoom

La “Zoom fatigue” e l’”effetto Zoom”

L’insieme dei disturbi rilevati dai numerosi studi che si sono via via susseguiti negli ultimi mesi su queste tematiche, sulla base dell’”esperimento sociale” vissuto giocoforza da tutti, sono stati ribattezzati con “Zoom fatigue”, traducibile come “affaticamento da Zoom”.
Uno studio australiano ha quantificato in almeno 1 persona su 3, nel campione di 350 individui preso in considerazione, chi ha provato questa sensazione.
Da cui derivano conseguenze come il concentrarsi su di sé piuttosto che sui contenuti della riunione o nello sperimentare tecniche di manipolazione della propria immagine.
La ricerca scientifica, intanto, ha realizzato anche uno strumento per misurare la zoom fatigue, chiamato “scala ZEF”. E un sondaggio, basato proprio su questa scala e condotto su oltre 10 mila persone, ha mostrato che, rispetto agli uomini, la zoom fatigue colpisce mediamente il 13,8% in più di donne.

La dismorfia da Zoom

Quel che in genere non si realizza è che le videocamere, come accade per gli specchi del luna park, tendono a deformare i nostri volti.
Innanzitutto, rispetto a reali interlocutori, sono molto più vicine. Fanno sembrare il naso più grosso, il viso più pieno e gli occhi più piccoli.
Le stesse espressioni sono meno rilassate, il più delle volte sembrano accigliate, se non annoiate.

effetto zoom
Un piccolo rimedio può consistere nel posizionare il computer -e dunque le telecamere – più in alto e nel distanziarsi maggiormente.
Ma non è solo una questione di distanze.

Cosa succede nel nostro cervello e quali sono i possibili problemi

Il cervello, spiegano gli psicologi, fatica a elaborare le interazioni virtuali.
Senza considerare la qualità del video e la necessità di concentrarsi maggiormente sulle parole, quando ci si collega virtualmente, vengono infatti meno alcuni segnali non verbali (dalla gestualità al respiro, dalla distanza alle pause di silenzio) tipici della conversazione faccia a faccia, sostituiti da altri stimoli che, al contrario, la nostra mente non è abituata a elaborare.
Uno studio dell’Università di Stanford ha così elencato 4 ordini di problemi psicologici derivanti dallo stare a lungo in videoconferenze e videochiamate. Uno sono proprio gli spunti non verbali, confermato anche dal fatto che le persone si sentono più distanti, alzando su Zoom il tono della voce su nel 15% dei casi. Vi è poi il fatto che, guardando tutti gli interlocutori verso la telecamera, si innesca una condizione simile a un confronto in uno spazio ridotto, situazione chiamata “iper sguardo”. E poi le già citate sensazioni di sentirsi bloccati in una scatola e di costante autovalutazione dell’immagine.

effetto zoom

Dalla chirurgia estetica alle altre possibili soluzioni

In molti casi, autovalutazioni negative hanno portato al ricorrere a  interventi di chirurgia estetica.
C
on il proliferare delle riunioni in videoconferenza le richieste, come testimoniato anche dalle ricerche in rete, sono notevolmente aumentate, soprattutto per operazioni  relative alle parti del corpo sopra la spalla.
Non è solo “rifacendo il proprio viso”, però, che si può ovviare alle conseguenze psicologiche dell’uso delle piattaforme di videoconferenza. Le limitazioni di movimento possono ad esempio essere ridotte usando una telecamera esterna o una scrivania più alta che copre maggiormente il nostro corpo. Per il confronto con la propria immagine, si può togliere il proprio riquadro dalla griglia. L’effetto di “iper sguardo” potrebbe essere contenuto già dai programmatori, limitando le dimensioni massime di visualizzazione. Ma, in generale, potrebbe anche semplicemente bastare il limitarsi a una chiamata o a un messaggio quando la videoconferenza non è strettamente necessaria.

Alberto Minazzi

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Tag:  pandemia, zoom