Nicola, il bambino di due anni prima scomparso e poi ritrovato nei giorni scorsi sull’Appennino Tosco-Emiliano, vive immerso nel verde della comunità di Campanara, a Palazzolo sul Senio, nel Fiorentino.
Una realtà particolare, che si è concretizzata a partire dal 1985 con l’acquisto della canonica e della chiesa locale di Campanara.
In questo piccolo borgo, un ecovillaggio nato all’insegna del rispetto della natura, risiedono una quindicina di persone. Hanno una filosofia di vita in comune che pone come priorità della comunità l’autosussistenza, la riscoperta e la valorizzazione di arti e mestieri antichi e il rispetto dell’ecosistema.
Nonostante gli ecovillaggi siano poco conosciuti ai più, sono presenti e numerosi su tutto il territorio italiano.
Gli ecovillaggi in Italia
Numericamente è la Toscana a ospitare la maggioranza degli ecovillaggi italiani, che però si sono diffusi un po’ ovunque, dal Triveneto al Piemonte, dall’Emilia, all’Umbria.
Un po’ meno presenti al sud, non mancano però esempi anche in Sicilia e Sardegna.
“Ci sono nuove realtà che si stanno formando, anche se le “storiche” sono quelle dell’Italia centro-settentrionale” conferma Alfredo Camozzi, dal 2008 al 2012 presidente della Rive, la Rete Italiana Villaggi Ecologici, principale ma non unico punto di riferimento di queste comunità.
Il ritorno delle “comunità”
“Tra ecovillaggi attivi o in costruzione e progetti, cioè gruppi di persone che stanno valutando l’acquisizione di un luogo dove stabilirsi con una nuova comunità – prosegue Camozzi – alla Rive fanno capo una settantina di realtà. Ma abbiamo stimato che, comprendendo anche quelle non collegate tra loro, le comunità del nostro Paese sono almeno il doppio, se non il triplo”.
Risulta così difficile quantificare esattamente quante siano le persone coinvolte, perché ai circa 3.000 che vivono dentro agli ecovillaggi vanno aggiunti i tanti che li seguono, fermandosi anche come ospiti o andando e venendo. Basti pensare che il sito internet della Rive registra circa 120 mila visite singole ogni anno.
La filosofia degli ecovillaggi
Dipinta nell’immaginario collettivo come una vita quasi primitiva, con pochi agi e nessuna tecnologia, la vita in un ecovillaggio è in realtà ben diversa. “Chi vive dentro un villaggio ecologico – conferma il past president di Rive – deve rispettare le regole e i principi fissati. Che sono diversi da realtà a realtà”. Così come possono essere diversi gli orientamenti delle singole comunità: si varia da quello spirituale (come per la Federazione di Comunità di Damanhur, in Piemonte), a quello politico, a quello puramente ecologico.
Vi è però una filosofia di base che accomuna tutti coloro che decidono di adottare questo stile di vita. “Sono 5 – riprende Alfredo Camozzi – i punti fondamentali. Il primo si può riassumere nel concetto di “essere comunità”. Il secondo è la tendenza all’autosufficienza alimentare ed energetica. Il terzo l’adozione di metodi consensuali per le decisioni. Il quarto l’autodeterminazione economica. Il quinto il lavoro sul territorio, sia dal punto di vista ecologico che da quello sociale”.
La storia degli ecovillaggi
Camozzi appartiene a uno degli storici primi ecovillaggi italiani: La comune di Bagnaia, fondata nel 1979 a Sovicille, nel Senese, dove è attiva quindi da 42 anni.
È a cavallo tra la fine degli anni Settanta e Ottanta che il fenomeno inizia a diffondersi nel nostro Paese. Più o meno concomitanti a Bagnaia sono ad esempio la già citata Comunità di Damanhur, ma anche Torri Superiori di Ventimiglia, in Liguria.
Forti dell’appoggio della rivista ecologista fiorentina “Terra Nuova”, tutte queste realtà si sono prodigate per la costruzione e lo sviluppo della Rive. “La decisione di mettere in piedi una rete nazionale – ricorda Camozzi – fu presa nel 1996, a seguito di un incontro del Global Ecovillage Network tenutosi ad Alessano, in Puglia. In quell’occasione, erano presenti i rappresentanti di alcuni ecovillaggi d’Italia, tra cui il nostro. E fu proprio a Bagnaia, nel 1997, che si tenne poi il primo incontro”.
Ecovillaggi italiani: una storia
Tra le 29 realtà, attive o in costruzione, descritte dal sito ecovillaggi.it, 5 sono del Nord-Est.
Da Trieste (Casa Lonjer) al Bellunese (Melorè di Mel), dal Trevigiano (Biofattoria Rio Selva di Preganziol e Case Bacò di Crespano del Grappa) al Padovano (Fattoria Solidale di Brugine), dall’adesione alla Rive emerge uno spaccato di realtà territoriali e storie ben diverse tra loro.
“Noi – racconta Cristina Capuzzo della Fattoria Solidale – nasciamo nel 2012 come comunità di famiglie, prima ancora che come ecovillaggio, all’interno di un percorso cominciato con l’associazione Mondo di comunità e famiglia di Milano alla ricerca di un’alternativa di vita all’interno della quale darci reciprocamente una mano con altri nuclei familiari”.
A Brugine vivono così insieme 5 famiglie, per un totale di 25 persone. “Avendo costruito la nostra comunità in un contesto rurale – riprende Capuzzo – abbiamo da sempre posto una grande attenzione agli aspetti ambientali. Ci siamo così avvicinati alla Rive, aderendo anche a wwoof.it, l’associazione internazionale a cui fanno capo le aziende agricole biologiche”. Sono così in molti, giovani o meno, quelli che sono ospitati durante l’anno, ricevendo vitto e alloggio in cambio di un aiuto nei vari lavori agricoli.
Alberto Minazzi