Un esame a basso costo, ripetibile ed effettuabile su tutta la popolazione, comprese le persone più giovani. Un modo per riuscire a personalizzare il rischio di cardiopatie, facendo il punto dei sintomi e consentendo di individuare per ciascuno le migliori terapie e gli eventuali ulteriori esami da fare.
Un esame che, nel contempo, consente al medico di rendersi conto della probabilità concreta che si sviluppi una cardiopatia nel paziente, potendo prevenire sempre più i rischi di infarto e, di conseguenza, di morte. Perché le cardiologie ischemiche, soprattutto croniche, sono la prima causa di morte non solo in Italia, ma nell’intera società occidentale.
Il nuovo esame e l’importanza della prevenzione
Ebbene: questo esame esiste. Si tratta di una ecocardiografia da stress valutata con un nuovo protocollo, chiamato ABCDE in quanto prende in esame molteplici aspetti che consentono di avere il quadro clinico più completo. Un risultato che consente un’accuratezza della diagnosi quasi del 90% rispetto al 60-70% dei test tradizionalmente utilizzati da una trentina d’anni a questa parte. Per di più, è in grado di garantire la stessa valenza diagnostica anche nei soggetti che non manifestano sintomi di problemi cardiologici.
La cardiologia virtuosa che salva le vite
Che il nuovo esame funzioni lo dice uno studio, realizzato da un gruppo di cardiologi europei e americani e ora pubblicato dall’European Heart Journal. Tra questi, Fausto Rigo, coordinatore delle cardiologie dell’Ulss 3 Serenissima.
“Lo scopo di una cardiologia virtuosa – sottolinea – è quello di mettere in atto strategie preventive, che permettano di riconoscere con il massimo anticipo certi segnali. Perché, se con l’angioplastica primaria, negli ultimi 30 anni, si è ridotta drasticamente la mortalità intraospedaliera, nel 30% dei casi, chi è colpito da infarto fuori da un ospedale non riesce a raggiungere nemmeno il pronto soccorso”.
La ricerca dei pazienti a rischio e gli altri tipi di esame
Affinando i test diagnostici, è dunque fondamentale cercare di individuare in anticipo pazienti che hanno una probabilità medio-alta di essere colpiti da una cardiopatia. Si tratta in genere di uomini sopra i 50 anni e donne sopra i 55, con familiarità genetica all’infarto, tanto più se fumatori e con valori superiori alla norma di colesterolo, ipertensione o diabete. “In questi casi – ricorda Rigo – è bene fare esami preventivi, a partire dai semplici test da sforzo. Il nostro obiettivo è quindi, in prospettiva, di far diventare via via questo nuovo esame di prassi per chi è a rischio”.
Le scelte attuali
L’ecostress tradizionale è infatti un test funzionale per valutare la possibilità che si verifichi un’ischemia attraverso la discrepanza tra le necessità del muscolo cardiaco di avere energia e la disponibilità di questa energia nell’organismo. Si tratta però di un test che, a seconda dei centti, ha un’attendibilità che varia tra il 60% e il 70%. Vi è poi la tac coronarica, su cui in particolare si è puntato negli ultimi 15 anni negli Stati Uniti, che però fornisce solo dati anatomici e non funzionali, costa tanto e sottopone il soggetto a radiazioni elevate, con conseguente rischio di sviluppare tumori.
I vantaggi della nuova metodica
Rigo ha iniziato a studiare da una quindicina d’anni la nuova metodica, che si concentra sull’impatto della placca che si forma ed è alla base dei possibili infarti. Più questa impedisce al sangue di fluire, più elevato è il rischio di avere eventi negativi a breve o medio termine. “Il dato oggettivo – spiega – è che, con una riserva con un valore al di sotto di 2, senza un’angioplastica o una terapia medica mirata, la possibilità di verificarsi di eventi aumenta tra le 4 e le 5 volte”. Già le coronarografie, negli ultimi tempi, sono cambiate, permettendo non più di vedere solo il vaso sanguigno, ma, sfruttando gli ultrasuoni, di ottenere dati anche funzionali, che permettono di prevedere la gravità della placca. Si tratta però di esami invasivi, che restano validi come apice diagnostico.
La nuova metodica, sviluppata con il Cnr di Pisa e università italiane, americane e russe, agisce invece in maniera non invasiva. “Con un test – spiega il cardiologo – che valuta 4 parametri anziché uno solo, aumenta la capacità dell’esame di individuare un paziente a rischio”. Alla semplice valutazione della perdita di capacità di contrarsi di alcune zone del muscolo a fronte di un aumento del carico, si va quindi a vedere anche come si comporta la frequenza dell’elettrocardiogramma, se il polmone si “bagna” di sangue sotto stress quando il cuore non pompa bene e come si comporta la riserva coronarica nel principale vaso, quello sinistro anteriore.
I benefici per il paziente
L’attendibilità diagnostica riscontrata nei 3.574 pazienti arruolati tra luglio 2016 e novembre 2020 consente una selezione significativa ai fini di valutare chi sottoporre a terapia. Con il valore aggiunto di capire subito qual è il miglior farmaco per il caso specifico, valutando il comportamento del singolo.
L’algoritmo che prevede la malattia
Da circa un anno, il gruppo di studio ha avviato ora una seconda fase del lavoro. “Abbiamo reclutato circa 1.500 pazienti – rivela il cardiologo – passando dalla prima fase, svolta con una metodica “artigianale”, all’applicazione dell’intelligenza artificiale. Perché l’algoritmo elettronico permette di aumentare sempre di più la possibilità di predire la probabilità di malattia”. Per completare questa fase ci vorranno ancora almeno un paio d’anni, dovendo valutare anche il follow up. Poi, però, la nuova diagnostica potrà iniziare a diffondersi. “Non si tratterà mai – conclude Rigo – di screening di massa, perché ci vuole una certa capacità acquisita da parte dei centri. Ma, in futuro, auspichiamo che si possa divulgare questa tecnica in maniera comunque molto estensiva”.
Alberto Minazzi