Con i sottoprodotti dell’industria ittica si possono realizzare integratori alimentari, creme di bellezza e materiali per l’edilizia
Per l’Italia la strada da percorrere è ancora lunga, ma in Nord Europa le aziende, riunite in cluster, hanno trovato il modo di abbattere i costi di produzione.
Così, anche cozze e gamberi sono diventati elementi cardine dell’economia circolare dai quali possono nascere altri prodotti.
Se in Italia i gusci di mitili e crostacei sono considerati come rifiuti da smaltire, ci sono stati come la Norvegia e l’Islanda, portabandiera della blueconomy, in cui dagli scarti dei prodotti ittici si ricavano beni di altissimo valore.
In particolare il guscio della cozza nera e il carapace del gambero sono ricchi di sostanze nutritive. Che l’economia circolare può far diventare integratori alimentari e creme di bellezza. Come pure materiali per l’edilizia. E già in alcuni Paesi europei a questi sottoprodotti ittici si riesce a dare nuova vita in mangimi, oli di pesce, cosmetici e farmaci.
Una situazione che permette di incrementare ogni anno un’economia circolare che sfrutta il mare a 360 gradi.
In Norvegia vi sono decine di aziende che lavorano prodotti grezzi di scarto da oltre dieci anni. Una di queste estrae la chitina dai gamberi boreali e ne ricava un preparato a base di Chitosano, che si utilizza in campo cosmetico e farmaceutico.
Un’altra da un micro crostaceo di tre millimetri ottiene un estratto che contiene astaxantina e più di 15 diversi acidi grassi.
Una sorta di sciroppo utile per la massa muscolare, per la capacità di pompaggio del cuore e con un potente effetto antinfiammatorio.
Anche in Islanda dai gusci dei gamberetti viene estratta chitina, poi trasformata in un prodotto medico grazie a una società biotecnologica locale.
Un modello economico che funziona.
“In Italia – ha dichiarato il consulente delle produzioni ittiche sostenibili Orazio Albano – questo sistema ancora non esiste, se non per piccole produzioni frammentate distribuite su territori molto distanti tra loro. Per questo anche qui sarebbe importante fare una rete di imprese o attendere i risultati di nuove ricerche scientifiche come quelle in corso all’Università del Salento, dove due ricercatrici stanno lavorando perché anche le piccole produzioni possano creare valori dai rifiuti di cozze e gamberi».