La pubblicazione dell’Istat inaugura una nuova collana online accessibile a tutti
Più vecchi, più multietnici, più metropolitani.
È sotto gli occhi di tutti: il ritratto degli italiani, in 160 anni, è decisamente cambiato.
Per capire come e approfondire il fenomeno dell’evoluzione del nostro Paese in oltre un secolo e mezzo di storia, l’Istat ha realizzato ora un’apposita pubblicazione, accessibile on line per chiunque.
È il primo volume di una nuova collana di web publishing dell’Istituto, intitolato “Storia demografica dell’Italia dall’unità a oggi” e arricchito di approfondimenti, dati scaricabili, contenuti e grafici interattivi. Un racconto della trasformazione del Paese che può risultare utile come punto di partenza anche dei processi decisionali.
Perché alcuni fenomeni, a partire dell’invecchiamento della popolazione, impongono una riflessione e una riorganizzazione di sistemi fin qui consolidati, per provare a renderli meno impattanti, in particolare sul piano economico, prima di tutto nei confronti delle prossime generazioni.
La Storia demografica dell’Italia unita
I cambiamenti demografici (come l’aumento della popolazione e il suo invecchiamento, l’inurbamento, l’emigrazione verso l’estero e le aree forti del Paese, sostituita oggi dall’immigrazione) sono il mezzo attraverso cui l’Istat, in questa pubblicazione, racconta la storia italiana contemporanea, confrontandola con quella di Francia, Germania e Spagna.
In particolare, si sottolinea, “l’allungamento della vita e la contrazione della natalità hanno determinato l’aumento del numero di anziani e la riduzione di quello dei giovani.
I flussi migratori internazionali, dopo avere contrastato la crescita naturale della popolazione per oltre un secolo, negli ultimi vent’anni ne hanno compensato la diminuzione e contribuito a modificarne le caratteristiche”.
“È infine cambiata sostanzialmente – conclude il quadro generale – anche la distribuzione degli abitanti sul territorio, con lo sviluppo delle città, in particolare nel centro-nord, e l’abbandono delle zone più disagiate dell’interno: una tendenza che negli ultimi decenni si è evoluta, con l’espansione delle aree metropolitane”.
I dati
Nel dettaglio, la popolazione residente, considerando i territori che attualmente ricadono all’interno dei confini del Paese, è passata da 26 milioni nel 1861 fino a 59 milioni al 1° gennaio 2022. Al tempo stesso, però, dal 2014 a oggi i residenti sono diminuiti di oltre 1,3 milioni. E, chiaramente, sono cambiati profondamente anche comportamenti e caratteristiche delle persone.
I residenti nelle città con almeno 250 mila abitanti,al 1° gennaio 2022, sono per esempio 9 milioni (il picco si è toccato nel 1971, con 11,2 milioni) dai 751 mila nel 1861. E, a determinare le evoluzioni demografiche, hanno contribuito anche i flussi da e verso l’estero.
Gli stranieri residenti in Italia, al 1° gennaio 2022, sono 5,1 milioni, provenienti per oltre metà da Paesi europei. Tra il 2012 e il 2021, inoltre, hanno acquisito la cittadinanza italiana 1,3 milioni di residenti stranieri. Gli italiani all’estero e iscritti all’AIRE sono invece 5,8 milioni, oltre metà dei quali è concentrata in Argentina, Germania, Svizzera, Francia e Brasile.
Proprio i flussi migratori, negli anni precedenti, hanno permesso di tamponare in parte quello che da molti è stato definito “inverno demografico”. Perché, ci dice l’Istat, gli anziani, da 65 anni in su, tra il 1861 e il 2022 sono passati dal 4,2% del totale della popolazione residente al 23,8%. E, nello stesso periodo, i giovani sotto i 15 anni sono diminuiti dal 34,2% al 12,7%. Ma questo potrebbe non essere più sufficiente.
Le conseguenze dei cambiamenti demografici sull’economia
Proprio la stessa Istat, lo scorso settembre, ha previsto che, nel 2050, l’Italia scenderà da 59,2 a 54,2 milioni di abitanti, per di più con un’età media sempre più alta. Una situazione che avrà impatti pesanti in particolare sul fronte economico, con la perdita di forza lavoro e, di conseguenza, di prodotto interno lordo.
Al riguardo, lo scorso anno il presidente di Istat, Giancarlo Blangiardo, aveva calcolato, guardando al 2070, un -32% di pil legato solo ai cambiamenti demografici.
In 15 anni, l’Italia rischia di perdere un 13% di persone, pari a 5 milioni, in età produttiva, cioè tra 15 e 64 anni. E un quadro ancor più preoccupante è quello disegnato dall’Onu: tra il 2050 e il 2060, proseguendo con l’attuale trend, in Italia si registreranno solo 350 mila nascite contro 800 mila decessi. E la popolazione, nell’arco di due generazioni, potrebbe così scendere da 59 a 32 milioni.
Alberto Minazzi