I successi di oggi e del futuro nascono dall’attenzione da sempre riposta sul settore giovanile (anche col Progetto Reyer)
Fin dal principio, il “cuore” del progetto avviato nel 2006 dall’Umana Reyer sono state le nuove generazioni e la loro formazione. Attenzione massima al settore giovanile che ha portato a coinvolgere anche 23 società del territorio metropolitano nel “Progetto Reyer” che, negli anni, ha dato ottimi frutti. «I 19 scudetti vinti – commenta Francesco Benedetti, responsabile del settore giovanile maschile orogranata – e ancor più le numerosissime finali nazionali raggiunte in questi anni non sono solo un sinonimo di qualità, ma soprattutto di continuità. Ma la cosa più importante è vedere i nostri ragazzi convocati nelle varie nazionali o vederli giocare in serie A o A2. Significa infatti che abbiamo messo in moto una macchina che non si fermerà domani, perché ha alla base un’idea lungimirante. Nei prossimi anni cercheremo di aumentare sempre più la qualità del lavoro, perché i giocatori che escono dal nostro settore giovanile sono una risorsa, imprimono continuità al progetto e danno ad altri ragazzi la possibilità di seguirne le tracce».
Una “macchina perfetta”, insomma, su cui le famiglie del territorio sanno di poter fare affidamento. «Alla base di tutto questo c’è il lavoro, l’impegno, l’impiego di tante risorse, le più diversificate: da quelle economiche a quelle logistiche, da quelle tecniche a quelle familiari. Diciamo insomma grazie al contributo di tutti, comprese le 23 società del Progetto Reyer, che hanno scelto di lavorare con noi, sulla base di una collaborazione vera. È per questo che sono convinto che nei prossimi dieci-vent’anni il progetto continuerà a crescere: è un volàno che funziona e rende il sogno-Reyer qualcosa di concreto e veramente percorribile per tutti i ragazzi».
Si continua dunque a guardare avanti: «Il progetto, in questi undici anni, è cresciuto con grande umiltà, uno dei due “comandamenti”, insieme all’etica, che ci ha trasmesso la proprietà. Con enorme voglia di confronto e di collaborazione, la bandiera della Reyer è diventata l’immagine della sfida di questo territorio alle grandi città come Milano e Bologna. Per competere ai massimi livelli il progetto non può infatti non passare attraverso la città metropolitana, allargata a Treviso e Padova. Con il settore giovanile aiutiamo a creare un’identità: creare passione è fondamentale. Noi vogliamo che, oltre agli atleti, dal nostro settore giovanile escano ufficiali di campo, arbitri, tifosi, ma anche padri che, un domani, porteranno i loro figli a giocare a basket. Se tutto ciò avverrà, noi avremo già vinto».
Riccardo VISCONTI il ragazzo dei due scudetti
Il tricolore Under 18, poi quello senior, alla prima da professionista. Come Esteban Batista, anche Riccardo Visconti si è confermato Campione d’Italia. «Lo scudettino l’ho vissuto da protagonista, ma mi sono sentito tale anche con la prima squadra, perché ho avuto più di un’occasione di rendermi utile».
E, a completamento, ecco anche la finale mondiale Under 19. Con un grazie a chi, l’Umana Reyer, lo ha formato. «Qui c’è un pezzo del mio cuore. Sono arrivato dal Piemonte a tredici anni e quindi la mia crescita da adolescente è avvenuta a Venezia . È chi mi ha seguito nel settore giovanile orogranata, dunque, ad avermi educato e aiutato a crescere, non solo a livello professionale. Mi hanno dato davvero tanto: da bambino, ero una “testa calda”, mi hanno fatto diventare un giocatore serio, ma anche una persona matura».
Federico MIASCHI il primo “millennial” è orogranata
Umana Reyer come la Juventus: Campioni d’Italia e prima squadra di Serie A a far esordire in prima squadra un ragazzo del Duemila. Anzi, di più. Perché, rispetto al bianconero Kean, il “millennial” Federico Miaschi contro Cantù ha messo a segno anche due punti.
«Ricorderò per sempre l’esordio in A, in una stagione in cui ho potuto giocare anche in Champions League. A Venezia sono arrivato da Genova tre anni fa, per giocare con l’Under 15. Un salto di qualità che dovevo fare, per provare a iniziare una vita nel basket. Ho scelto il settore giovanile dell’Umana Reyer perché l’ho trovato uno dei più seri, tra i migliori in Italia. Ho legato tantissimo con i compagni, vivendo con loro nella foresteria orogranata. E adesso questo scudetto farà vedere ai ragazzini più piccoli l’Umana Reyer un po’ com’era Siena ai miei tempi».
Francesco PAOLIN dal Progetto Reyer al professionismo
È uno dei “simboli” del Progetto Reyer: la carriera di Francesco Paolin, oggi in A2 a Forlì, è iniziata in una società aderente all’iniziativa orogranata (i Dolo Dolphins), decollando dopo la trafila delle giovanili Umana.
«Ho cominciato a cinque anni al Basket Mira, confluito nei Dolphins, di cui mio padre è stato tra i fondatori. La Reyer mi ha chiamato a 14 anni e qui ho svolto tutto il percorso delle giovanili, sfiorando lo scudetto. Cinque anni intensi, in cui sono riuscito a portare avanti sia la scuola che il basket. Ho anche esordito in Serie A con Markovski, che ha apprezzato il mio impegno in allenamento. Ringrazio allora il Progetto Reyer che riesce a creare una collaborazione, anche a livello economico sul piano delle strutture, con le società che hanno meno mezzi, consegnando ai giocatori un futuro migliore ».
Francesco Alfier, statistico da NBA
Prima ancora di vincere lo scudetto, l’Umana Reyer è sbarcata nella NBA. Francesco Alfier, 28 anni, padovano di Albignasego, per quattro anni analista statistico orogranata (il primo di un club italiano), lo scorso anno è stato chiamato dai Los Angeles Clippers come “International Analytics”.
Quanto ti ha aiutato l’esperienza con l’Umana Reyer?
«Tantissimo. Ringrazio il patron Brugnaro e il presidente Casarin, che hanno puntato su di me nell’ottobre 2011, sorprendendo in primis me stesso. Sono state quattro stagioni molto formative professionalmente. E già al college ho potuto applicare basilari concetti di analisi statistico-cestistica usati negli ultimi anni in Reyer».
Che sensazioni dà lavorare per una franchigia NBA?
«Principalmente è un onore. È pura emozione e gioia: il livello di professionalità e competenze presenti in NBA è inimmaginabile. La cura del dettaglio è maniacale. A me è stato chiesto di analizzare statisticamente il mercato dei giocatori “international”: tutti quei giocatori eleggibili per il draft che non giocano in college americani».