Il 2008 è stato l’anno di una nuova “sintesi”, tra pallacanestro maschile e femminile, tra laguna e terraferma. E il 2009?
Pur già presi dagli affanni di una stagione entrata vorticosamente nella fase decisiva, con il suo carico di speranze e di incertezze, vale la pena guardarsi indietro per comprendere cos’è stato il 2008 e per capire cosa potrebbe essere il 2009. Non è stato un anno qualunque per la Reyer, l’anno consegnato da qualche mese alla storia. A marzo arriva il successo in Coppa Italia delle ragazze orogranata, il primo trionfo nazionale dopo decenni di attesa. Un punto fermo. A maggio ci si gioca la terza semifinale playoff, che consolida la Reyer ai vertici del basket femminile italiano. Poche settimane più tardi, e siamo a giugno, l’apoteosi di Brindisi. La Reyer maschile torna in A2. Dodici anni dopo, ma sembrano esserne passati molti di più, vuoi per l’attesa, vuoi per la solidità della programmazione, lontana anni luce dai “miracoli” senza domani a cui il popolo orogranata per anni si era fatalmente abituato. A settembre, poi, bisogna ancora fare spazio in bacheca: è Mery Andrade ad alzare la Supercoppa Italiana, secondo trofeo dell’anno. In campo maschile l’autunno riporta al Taliercio il sapore delle grandi sfide. E soprattutto inizia l’Eurolega femminile.
Per la prima volta una squadra veneziana partecipa ad una massima competizione europea. L’inimmaginabile striscia di cinque vittorie consecutive nel girone d’andata dà una dimensione persino inaspettata al potenziale del gruppo di coach Riga. La vittoria sul CSKA, poi, entra di diritto nella galleria delle imprese senza tempo della Reyer. E soprattutto arriva una larga e storica qualificazione agli ottavi di finale, dove purtroppo si interrompe la comunque sorprendente avventura reyerina in Eurolega. Ce ne sarebbe abbastanza per lustrarsi gli occhi. Eppure, in un anno così denso, rischiano di sfuggire almeno due passaggi fondamentali e per nulla scontati, che stanno prendendo forma sotto il segno della Reyer. Il primo è il crescente riconoscersi tra la dimensione maschile e quella femminile della realtà orogranata. A tutti i livelli. Sebbene la compresenza di maschile e femminile sia nel patrimonio genetico della Reyer (basti ripercorrere i primi cinquant’anni di storia societaria), è vero anche che i due universi sportivi non erano entrati in contatto per diversi decenni. Ora però diffidenze e resistenze di molti appassionati si stanno rigenerando e trasformando in un’unica e grande passione.
Non è più un mistero che il moderno basket femminile (in Europa più che in Italia) abbia fatto enormi progressi e sia diventato un gioco estremamente sofisticato dal punto di vista tattico e sempre agonisticamente valido. Anzi, chi ama ancora una pallacanestro più “cerebrale” e meno esasperata fisicamente, trova nel basket femminile di alto livello una notevole varietà di contenuti tecnici. L’entusiasmo per le imprese europee delle ragazze orogranata è palpabile. E questa doppia dimensione è capace di innescare un circolo virtuoso, dando continuamente stimoli ed entusiasmo a tutto l’ambiente. Questa “doppia anima” è un fenomeno che ha pochi riscontri anche a livello nazionale. Nessuna realtà cestistica (ed extra-cestistica) in Italia può vantare almeno una formazione maschile e una femminile ai massimi livelli. Per trovare delle analogie occorre guardare molto lontano, alle grandi “polisportive di stato” come il CSKA e lo Spartak Mosca in Russia, oppure il Fenerbahce e il Besiktas di Istanbul in Turchia.
L’altro grande passaggio è l’avvicinamento ormai compiuto tra una sponda e l’altra della laguna. Sì, parliamo del non più eterno dualismo tra Venezia e Mestre, superato ormai dai fatti. La Reyer è riuscita in quello che neppure il calcio era stato in grado di portare fino in fondo. La Reyer è ora il simbolo di una città “metropolitana”, che si spinge anche oltre i confini provinciali. Quello della Reyer non è stato un percorso indolore. E’ iniziato con un primo necessario “trauma”, il passaggio a Mestre nel ’90, ed è continuato con un secondo, il fallimento del ’96, ad interrompere la difficile transizione. I dodici anni di “astinenza” che ne sono seguiti, a posteriori, si sono rivelati addirittura salutari. Hanno alimentato una genuina voglia di pallacanestro in tutto il territorio. Hanno consentito soprattutto un ricambio generazionale importantissimo, portando attorno al nome Reyer migliaia di giovani che si identificano nei colori orogranata. La “catarsi” ha infine convinto anche gli ultimi scettici, abbattendo ogni nostalgica riluttanza al cospetto di un ritrovato entusiasmo e alla sensazione di trovarsi di fronte ad un vero “progetto” e non ad un’avventura. Grazie anche a questo passaggio, che può dirsi realizzato, la Reyer si candida a diventare il marchio sportivo del nostro territorio, in Italia e all’estero. E’ in questa prospettiva che vanno letti i successi nell’Eurolega femminile e le ambizioni del maschile di confermare la categoria e tornare presto ai vertici più alti del basket nazionale. Un sospirato segnale di vitalità che varca i confini nazionali, da parte di una città capace finalmente di brillare non solo di luce riflessa.
DI ALESSANDRO TOMASUTTI