Uno studio del Cnr evidenzia come, in 10 anni, siano aumentate le concentrazioni di sostanze psicotrope in atmosfera
Non sono solo le relazioni consegnate al Parlamento o l’analisi delle acque reflue urbane.
Anche quelle dell’aria ce lo confermano: sono sempre più le sostanze psicotrope che respiriamo.
Anche se non facciamo uso di droghe, queste aleggiano nelle città.
Dalla marijuana alla cocaina, fino ai cannabinoidi sintetici e alle nuove sostanze psicoattive, lo spettro è ampio.
E sempre più consistente.
Lo rileva la recente ricerca dell’Istituto per l’inquinamento atmosferico del Cnr, che ha confrontato i dati 2019 relativi alla presenza delle sostanze psicotrope nel particolato aerodisperso di 36 città di 15 diverse regioni con quelli di un precedente studio del 2009.
I risultati, pubblicati sulla rivista Atmospheric Pollution Research, rivelano che “in generale, le quantità di sostanze rilevate nell’aria erano più importanti di quelle trovate 10 anni prima negli stessi siti”.
E visto che, evidenziano i ricercatori, “le differenze sembravano non dipendere da condizioni sfavorevoli”, la conclusione è che “presumibilmente questa tendenza è stata causata principalmente dall’aumento dell’abuso di droga in Italia, analogamente a quanto riportato in altri Paesi”.
Il pericolo delle sostanze psicotrope nell’aria
Le campagne svolte hanno confermato la presenza nell’aria di droghe lecite e illecite, da tempo accertate come contaminanti ambientali, a livelli di concentrazione variabili: in città, ma anche nelle aree rurali, e in particolare al chiuso.
I carichi di principio attivo, sottolineano i ricercatori, non vengono trattati nelle indagini sulla qualità dell’aria, in quanto spesso ritenuti “troppo bassi per essere analizzati”, soffermandosi per esempio solo sui prodotti della combustione del tabacco.
In realtà, spiega lo studio, “l’esposizione e la potenziale minaccia per gli esseri umani sono probabilmente molto più elevate di quanto si pensi normalmente”.
Pur non riconosciute come cancerogene, per le sostanze psicotrope, presenti quasi sempre nell’atmosfera nella loro forma originaria (come per nicotina, caffeina e cocaina) sono stati accertati effetti tossici negli organismi viventi. Possono, per esempio, promuovere effetti avversi come asma, disfunzioni cardiache, infarti e problemi neurologici.
Le campagne svolte hanno così mirato a conoscere i modelli di concentrazione delle sostanze e, in parallelo, comprendere meglio i collegamenti dei livelli di concentrazione delle sostanze illecite con i tassi di prevalenza della droga e con i comuni contaminanti atmosferici. Anche se, ammettono gli studiosi, “la relazione tra il carico di droga illecita nell’aria e la prevalenza rimane incerta”.
Ci sono stagioni e stagioni
I punti salienti evidenziati dalla ricerca sono dunque diversi, a partire dal fatto che “le concentrazioni di sostanze illecite sono state, in media, più elevate durante ciascuna stagione del 2018/19 rispetto a quella corrispondente del 2009”. Un dato “particolarmente evidente per i cannabinoidi” e “non dipeso dall’aumento del Pm10, che indicherebbe condizioni meno favorevoli alla diluizione degli inquinanti nell’atmosfera”, con un’assenza di dipendenza lineare dalla densità di popolazione anche per la cocaina.
La correlazione tra droghe illecite e inquinanti comuni è scarsa durante l’estate e maggiore in inverno, con comportamenti indipendenti da quello generale dell’inquinamento per cocaina (il cui modo di diffusione nell’aria è ancora sconosciuto) e cannabis.
Le concentrazioni aeree di sostanze nell’aria dunque dipendono “dalla stagione dell’anno”. Così, nella stagione fredda, la cocaina nell’aria tende a diminuire ovunque.
La conclusione è così che “concentrazioni elevate di sostanze psicotrope illecite si verificano dove e quando il loro abuso è alto”.
Ciò si lega anche al fatto che il divario di concentrazione tra Nord Italia, dove resta più elevato, e Centro e Sud si è ridotto tra 2009 e 2019, in linea con i dati internazionali, che segnalano un aumento della prevalenza di abuso di sostanze illecite dopo il 2014 e di tossicodipendenti che si sono sottoposti nel 2020/21 a trattamenti per la cocaina e la cannabis.
Il senso dello studio
“Una delle possibili letture che possiamo dare – commenta Catia Balducci del Cnr, prima firmataria dello studio – è che, oltre all’aumento dell’abuso, che noi non siamo in grado di quantificare in termini percentuali solo sulla base dell’aumento delle concentrazioni, non avendo purtroppo trovato la relazione diretta che cercavamo, potrebbero essere cambiate anche le abitudini di consumo, che magari prima avveniva solo al chiuso e ora maggiormente all’aperto, anche se resta solo un’ipotesi. Per conseguire l’obiettivo che ci eravamo posti, cioè trovare un indicatore ambientale dei consumi di tipo quantitativo, una correlazione diretta, serviranno ulteriori studi: speriamo di aver gettato le basi”.
La ricercatrice rimanda quindi ai ricercatori di medicina l’approfondimento delle conseguenze sulla salute: “Il nostro è uno studio chimico-sociale: possiamo solo dire che c’è una differenza di miliardi tra la concentrazione di sostanze attive in una dose e quelle presenti nell’atmosfera. E affermare senza timore di smentita che è molto più pericoloso il Pm10. Intanto, il lavoro del Cnr ha però permesso di escludere che l’accumulo di sostanze nell’aria sia legato a un aumento proprio del particolato.
“Noi – conclude Balducci – ci siamo concentrati sulle concentrazioni di cocaina sulla base delle strumentazioni a disposizione. Al riguardo, possiamo dire solo che il processo è più o meno analogo a quello della ricerca di un inquinante come il benzoapirene: il controllo della concentrazione della cocaina potrebbe così facilmente diventare di routine e fornire un rilevante indicatore rapido per valutare gli effetti di alcune azioni di contrasto alla diffusione della droga. Anche perché nessuno dei parametri usati oggi, né le interviste, né il numero di sequestri, ma neanche la ricerca dei metaboliti nelle acque, fornisce indicatori assoluti sul piano quantitativo”.
La droga in Italia: la relazione al Parlamento
Il quadro di aumento del consumo di droghe è confermato intanto anche dalla relazione annuale 2023 al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze.
Nel 2022, i giovani tra 15 e 19 anni che hanno consumato almeno una droga sono passati dal 18,7% al 27,9%, con un passaggio dal 10,9% al 18,3% per quelli che hanno dichiarato di averne fatto uso nell’ultimo mese. L’Istat ha stimato così che la spesa di tutti i consumatori, indipendentemente dall’età, per l’acquisto di stupefacenti sia stata pari a 15,5 miliardi di euro.
Se la droga è un problema comune a tutte le fasce d’età, i consumi dei giovani hanno la particolarità di spingere la crescita di cannabinoidi sintetici e nuove sostanze psicoattive, reperibili sul web e arrivati al 10% dei consumi. Inoltre, tra gli adolescenti, crescono gli psicofarmaci, usati dal 10,8% (rispetto al 6,6%). La cannabis, usata da circa 4 milioni di persone tra 18 e 84 anni (8,5%) resta comunque al primo posto, con una crescita di oppiacei ed eroina, triplicati dal 2017 e mezzo milione di consumatori di cocaina.
Sul fronte di quest’ultimo stupefacente, va registrata anche l’impennata della percentuale dei kg sequestrati sul totale: dal 2,9%, si è passati al 34,8, per oltre 26 mila kg.
Anche in questo caso, al primo posto, ma in calo, è la marijuana, con il 44,1% dei complessivi 75 mila kg di droga sequestrati.
Il numero medio di dosi giornaliere di cannabinoidi ogni 1000 abitanti risultante dall’analisi delle acque reflue è intanto stabile a 50.
Cocaina ed ecstasy: influiscono sul dna e possono generare neoplasie
Tra gli effetti negativi delle droghe, proprio il Cnr, in un altro studio durato 3 anni alla sezione di Pisa, ha evidenziato che ecstasy e cocaina non sono solo sostanze tossiche e che creano dipendenza, ma agiscono direttamente anche a livello del dna, provocando mutazioni nel materiale ereditario.
Un danno che aumenta in caso di assunzione prolungata del tempo.
Dalla genotossicità di queste droghe, sottolinea Giorgio Bronzetti, responsabile scientifico dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Cnr, inoltre, deriva anche un’ulteriore conseguenza: “Se consideriamo la stretta relazione tra mutagenesi e cancerogenesi, si può affermare che tali droghe possono essere causa di neoplasie”.
Alberto Minazzi