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Vajont: 60 anni fa, la tragedia

Vajont: 60 anni fa, la tragedia
Vista sul monte Toc

Sono le 22.39 del 9 ottobre 1963.
Un frastuono pervade la valle del Vajont: dal monte Toc si stacca una frana di 260 milioni di metri cubi di roccia, che piomba nel lago artificiale dietro la diga.
Il bacino contiene in quel momento 115 milioni di metri cubi d’acqua. E si alza così un’onda di 50 milioni di metri cubi liquidi, che passa dall’altra parte della diga e spazza via i paesi sottostanti. Longarone, Pirago, Corissago, Rivalta e Faè sono cancellati  in pochissimi minuti.

Succedeva 60 anni fa. Ma la tragedia del Vajont è nella memoria di tutti noi.
4 minuti di apocalisse che hanno mietuto 1917 vittime, coprendo una valle con metri cubi su metri cubi di fango e lasciando nel dolore i superstiti di questa immane tragedia.
Ancor oggi recandosi sul posto si è pervasi da un silenzio assordante: il silenzio della montagna, che riporta, chiudendo gli occhi, a quei minuti prima del disastro.

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Il cimitero monumentale di Longarone per ricordare i morti del Vajont

Le istituzioni rendono onore alle vittime

A ricordare la tragedia e a onorarne le vittime, oggi, si è recato al Vajont anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, accolto dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, dal presidente della provincia di Belluno nonché sindaco di Longarone, Roberto Pedrin, dal presidente della Camera, Lorenzo Fontana e dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro.
“Siamo qui a rendere memoria di persone, quelle che sono morte il 9 ottobre 1963, le sopravvissute, quelle che hanno dovuto lasciare le loro case e quelle che hanno lottato strenuamente per ricostruirle, per rimanervi – ha detto il presidente Mattarella -. La tragedia che qui si è consumata reca il peso di pesanti responsabilità umane, di scelte gravi che venivano denunziate, da parte di persone attente, anche prima che avvenisse il disastro” .
Il Capo dello Stato, dopo aver osservato un momento di raccoglimento, ha deposto una corona in memoria delle vittime della tragedia e ha poi reso omaggio ai cippi marmorei.
487, tanti quanti i bambini che morirono il 9 ottobre 1963, hanno eseguito un canto per ricordarli.

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Vajont: la più grande diga del mondo

La diga del Vajont, progettata dall’ingegnere Carlo Semenza e successivamente costruita tra il 1957 e il 1960 tra i paesi di Erto e Casso, era la risposta alla necessità di energia del Paese.
L’invaso doveva servire come grande serbatoio d’acqua entro il quale sarebbero confluite, attraverso 35 km di tubazioni scavate nelle montagne, le acque di tutte le altre centrali circostanti.

La gola stretta e profonda che il torrente Vajont si era scavato per arrivare al Piave era perfetta per costruire uno sbarramento artificiale e la Sade, la Società Adriatica di elettricità, fondata e di proprietà di Giuseppe Volpi, conte di Misurata (nonché ministro delle Finanze dell’allora Governo Mussolini e Primo Procuratore di San Marco, oltre che presidente della Biennale di Venezia e presidente di Confindustria) colse l’occasione di costruire quella che sarebbe diventata la più grande diga al mondo.

Diga del Vajont
Diga del Vajont

La variante in corso d’opera

Il progetto originario, che risale al 1940, prevedeva un’altezza di 200 metri e un volume d’acqua di 58 milioni di metri cubi. Nel 1957, tuttavia, fu introdotta una variante in corso d’opera che portava la diga a misurare 261 metri e ad aumentare il volume d’acqua a 150 milioni di metri cubi. Giorgio Dal Piaz, il geologo incaricato di verificare la fattibilità dell’opera secondo i nuovi parametri, attestò la stabilità delle montagne circostanti e la variante fu approvata dal Ministero.
Come sappiamo, non andò tutto come avrebbe dovuto.

I timori inascoltati

Già durante il periodo del primo invaso dell’acqua, nel 1959, si verificano alcune frane ritenute non importanti. E successivamente si riscontrò una frattura nella roccia cui nessuno diede molta rilevanza.
Ma tra la popolazione, fatta per lo più di contadini e allevatori che ben conoscevano il proprio territorio, per quell’opera avveniristica iniziava a sorgere, sempre più forte, il timore.
Fu colto da Tina Merlin, all’epoca giornalista de L’Unità, che, a proposito di questi eventi, scriveva:

Si era dunque nel giusto quando, raccogliendo le preoccupazioni della popolazione, si denunciava l’esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago. E il pericolo diventa sempre più incombente. Sul luogo della frana il terreno continua a cedere, si sente un impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare. E le larghe fenditure sul terreno che abbracciano una superficie di interi chilometri non possono rendere certo tranquilli”.

Voci e moniti inascoltati. Nell’ottobre 1961 la diga venne infatti inaugurata.

 

 

 

 

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