Obiettivo: portare il cosmo dentro le nostre vite. Ecco come. Intervista all’astrofisico Marco Castellani
“Siamo totalmente immersi nel cosmo – abitanti di un pianeta in orbita intorno ad una piccola stella, la quale viaggia attraverso una gigantesca galassia a quasi ottocentomila chilometri all’ora – ma ciò non entra quasi mai nei nostri pensieri e nella nostra esperienza: dunque lo stiamo rimuovendo”.
È questa la riflessione dalla quale parte la nostra intervista a Marco Castellani, ricercatore dell’Istituto nazionale di Astrofisica (INAF) all’Ossrvatorio Astronomico di Roma, impegnato sul fronte delle divulgazione scientifica all’interno di una ricerca profonda anche a livello culturale e spirituale.
“Il neonato progetto Darsi Spazio si propone allora di rimetterci a contatto con il cosmo e con le mille provocazioni e suggestioni che la moderna ricerca ci sta regalando” – sottolinea il dottor Castellani. – “L’iniziativa nasce proprio dall’urgenza di portare il cosmo dentro le nostre vite. Questo viene pensato come parte di un risanamento globale dell’umano, per il quale ogni rimozione – come ci insegna la psicoanalisi – comporta un problema e segnala uno stadio di maturità ancora non completa”.
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Marco Castellani, in quale modo riflettere sul cosmo può contribuire alla nostra evoluzione come singoli e come umanità?
Viviamo entro un cosmo in rapidissima evoluzione, tutt’altro che statico come si pensava un tempo, e questo è innanzitutto un messaggio culturale che dobbiamo ricevere e metabolizzare, perché inneschi una nostra personalissima crescita evolutiva. In dialogo con Gabriele Broglia (manager sanitario e personal trainer, esperto di filosofie orientali), e sotto la competente e amichevole regia di Emanuele Giampà (già curatore di tanti video di Darsi Pace), desideriamo aprirci al confronto tra le moderne acquisizioni della scienza e i millenari patrimoni delle culture occidentali ed orientali, facendo interagire costruttivamente le loro visioni del cielo con il portato scientifico attuale, mantenendo un linguaggio davvero accessibile a tutti. Sono già stati prodotti due video, che si possono raggiungere direttamente dalla pagina www.darsispazio.it, oppure sul canale YouTube di Darsi Pace. Al momento in cui scrivo stiamo lavorando sui prossimi due “episodi”.
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Lei parla spesso di “relazione” raccontandoci che forse è proprio “relazionale” il nesso primario all’origine della materia-energia, è così? E perché?
Perché proprio questo è il paradigma emergente dalla ricerca più attuale sul fondamento stesso della realtà fisica. Chi si ostina nella affannosa caccia di una ipotetica particella realmente fondamentale, viene frustrato dal fatto che, più tenta di arrivare a tale particella, più il fatto stesso di osservare, iniettando giocoforza energia nel sistema, produce una miriade di altre particelle bizzarre, in una quasi umoristica deviazione dall’obiettivo. Dall’altro lato, tutta l’indagine moderna ci avverte che quello che in primo luogo caratterizza gli enti fisici è proprio la mutua interazione: una particella completamente isolata, ci dicono anche illustri fisici come Carlo Rovelli, non ha qualità, non ha specificazioni, è dunque una mera astrazione mentale. La lezione da apprendere è dunque questa: l’esistente acquista le sue specifiche qualità solamente attraverso interazioni con il resto del mondo.
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Cos’ha provato la prima volta che ha guardato il cielo tramite un telescopio e cosa pensa ora quando si immerge nelle osservazioni?
Avendo scelto un percorso da astrofisico teorico, le osservazioni importanti che ho fatto sono state poche. A volte sento che mi manca questo rapporto diretto con l’osservazione, questo contatto immediato con gli strumenti. Però ogni volta che pongo l’occhio all’obiettivo di un telescopio mi stupisco di quanto la lontananza emotiva degli oggetti celesti sia solo apparente, come pure la loro percepita “irrilevanza”. Di fatto, basta guardare con un modesto ingrandimento i crateri lunari per scoprire come tutte queste cose ci interessano, ci riguardano. E soprattutto, ci emozionano.
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Enrico Fermi si chiedeva:“Dove sono tutti quanti?” Siamo un’eccezione nel cosmo o c’è vita intelligente nell’universo?
Fino a che non comprenderemo meglio il “fenomeno vita” non potremo nemmeno quantificare la probabilità che essa sorga in un ambiente planetario, per quanto le condizioni possano apparire “favorevoli”. A quanto ne sappiamo oggi, la vita potrebbe anche essere un fenomeno tremendamente improbabile, e noi adesso stare qui a parlarne soltanto perché… è accaduto (questo fermandosi al lato scientifico, astenendosi cioè da ogni considerazione finalista). Non conoscendo tale probabilità, anche l’argomento secondo il quale, visto che esistono miliardi di pianeti nel cosmo (come è pur vero), la vita da qualche parte “deve pur esserci” oltre qui, è semplicemente errato dal punto di vista statistico, come affermati scienziati ed eccellenti divulgatori quali Amedeo Balbi illustrano in libri e conferenze. Le attuali indagini degli ambienti planetari, con telescopi modernissimi come il James Webb, tuttavia, potrebbero riservarci delle sorprese.
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Cosa significa “vita intelligente” per gli scienziati? Possiamo considerare davvero “intelligente” l’attuale presenza dell’umanità sulla terra?
Vita intelligente, direi, è vita che manifesta una qualche forma di consapevolezza. A sua volta la consapevolezza, o se vuoi la coscienza, è un fenomeno ancora molto difficile da comprendere: ebbi occasione di comprenderlo lucidamente nel maggio scorso, quando moderai l’incontro tra Federico Faggin e Marco Guzzi, dove si parlò diffusamente di coscienza. L’impressione è che l’umanità sia molto avanzata tecnicamente ma ancora poco cresciuta nel piano della vera consapevolezza.
Ci sono probabilmente varie ragioni per questo: è più facile costruire una bomba che interrogarsi veramente sulla opportunità di lanciarla, dopotutto (e ne abbiamo visto gli effetti). La tragedia vera – in questa società che ha perso il senso del sacro – che non comprendiamo più come le nostre più autentiche qualità umane non siano spontanee, ma vadano “coltivate” di un lavoro quotidiano. Altrimenti si atrofizzeranno, e rimarranno solo gli impulsi furbescamente favoriti dal mercato, mentre la nostra parte più antica e grezza, quella che potremmo definire egoica, non avrà contrasti efficaci per non continuare ad essere fonte di immani tragedie, come la sanguinosa guerra in Ucraina ed il tragico problema della Palestina.
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L’umanità dunque non potrà “salvarsi” solo con le innovazioni tecnologiche…
L’uso corretto e virtuoso della tecnologia richiede persone con qualità umane robuste e sviluppate, non certo uomini e donne dominati dal proprio ego, fondamentalmente violento e nichilista. Per quanto sia parola abusata, potremmo dire “uomini e donne spirituali”. Il punto è che un essere umano non spirituale è un essere umano che non ha coltivato al suo interno quelle qualità relazionali che sono necessarie per creare un vero clima di pace. Può non piacere ad alcuni, ma la pace e l’attitudine al dialogo si coniuga strettamente con il senso del sacro: come scrive Davide Sabatino in un recente articolo, “l’unico modo per riconoscerci uniti nella ricerca di quel varco che ci condurrebbe nei pressi di Dio (qualunque cosa questa parola possa significare, oggi, per noi) è attraverso il dialogo. Ovvero, attraverso l’ascolto profondo e attento delle parole provenienti dall’Altro. Perciò, per essere davvero degli spiriti umani desti e viventi, non possiamo esimerci dall’esercitare, con enorme fatica, l’arte difficile del dialogo.”
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Noi conosciamo solo il 5% dell’universo osservabile: non è molto, ma forse è abbastanza per ricordare a tutti noi che stiamo immersi in un mistero ancora tutto da scoprire?
In accordo con le teorie più accreditate, il 95% della materia-energia del cosmo è in effetti costituito da qualcosa che ancora non conosciamo, cioè energia oscura e materia oscura. Imbarazzate, per noi astrofisici, confessare al termine di dotte conferenze, che conosciamo solo (e nemmeno troppo bene) il 5% appena dell’universo! Possiamo leggere a diversi livelli questa indicazione che ci viene oggi dal cosmo. Per me una lettura davvero feconda è quella dell’invito ad essere umili. Abbiamo compiuto passi da gigante nella conoscenza dell’universo, negli ultimi cento anni: abbiamo trovato migliaia di pianeti esterni al sistema solare (all’inizio degli anni Novanta in pratica non se ne conosceva nemmeno uno, ora sono più di cinquemila e la lista cresce ogni giorno), abbiamo provato l’esistenza di buchi neri e li abbiamo addirittura fotografati, abbiamo perfino rilevato le onde gravitazionali, cosa da Einstein considerata impossibile. Con grandi telescopi in orbita come JWST ed Euclid stiamo andando a mettere il naso sull’universo bambino, con una precisione mai raggiunta prima. Con missioni come Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea, stiamo realizzando un incredibile censimento galattico che annovera ormai miliardi di stelle, ovvero ordini di grandezza superiore a quanto mai è stato tentato nella storia. Con tutto questo il rischio di farsi prendere da una certa hybris potrebbe essere concreto. Bene, dunque, che il messaggio che ci arriva dal cosmo sottolinei invece la nostra ignoranza, in modo che si possa sempre ricordare che l’avventura della scoperta dell’universo richiede, da parte nostra, un atteggiamento di umile curiosità, sincero desiderio di capire, ed una inesausta disponibilità a sorprendersi.
Nicoletta Benatelli