“Nel mezzo del cammin di nostra vita…” raramente potremmo incorrere nelle nostra memoria in un incipit potente ed evocativo com’è quello della Commedia.
Nell’anno in cui si celebra il 700° anniversario della morte di Dante Alighieri l’attenzione è ritornata, forte, sulle opere scritte dal poeta più di sette secoli fa. Un tempo lunghissimo in cui però non si è mai smesso di studiare, ricercare e interpretare le parole che hanno sancito l’esistenza della lingua italiana.
Cos’ha ancora da raccontarci, oggi, Dante Alighieri?
“Il bisogno di rileggere i testi classici”
Il professor Emilio Torchio, ricercatore dell’università di Padova e titolare della cattedra di Filologia e critica dantesca, usa un’analogia per spiegare l’importanza della ricerca continua.
“C’è il bisogno, a ogni generazione, di rileggere i testi classici e riproporli con la nostra prospettiva; un lato del lavoro di insegnanti e professori che andrebbe reso più noto – spiega -Un passaggio generazionale, così come avviene per i lavori artigianali, che si tramanda di studio in studio”. È una dinamica precisa, che vale per ogni disciplina e ogni autore.
La Commedia è testimoniata da più di 800 manoscritti, di cui circa 600 contengono almeno un’intera cantica, ed è composta da 14233 versi, tutti endecasillabi.
“Si tratta anche semplicemente di controllarli filologicamente (ovvero mettere a confronto i testi). Per quanto riguarda Dante subentra anche un aspetto storico: si cerca di dipanare il contesto sociale e politico, nonché culturale e filosofico (come nel caso del Convivio) – conclude Torchio -Alcuni dei commenti più antichi alla Commedia sono stati pubblicati in edizione critica solo recentemente”
Le selve oscure della vita
Ci è facile accostare in questi tempi la selva oscura e il periodo pandemico che stiamo vivendo.
“Possiamo forzare questa chiave di lettura se siamo consapevoli di questo -dice il professor Torchio -L’allegoria della Selva ha in realtà molti significati. È la vita quotidiana, tanto è vero che torna più volte nella Commedia. È ripresa nel canto XIII di Pier Della Vigna e quando Dante discute della valle dell’Arno, dove poi Firenze è accostata alla selva. Già nel Convivio Dante parla dell’adolescente che entra nella “Selva erronea di questa vita”. Il viaggio dell’essere umano è compreso tra la Selva dell’Inferno e quella che sta nella sommità del Purgatorio, da dove Dante intraprenderà il suo viaggio nel Paradiso con Beatrice”.
La necessaria discesa nell’Inferno
Punto centrale per capire la Commedia, puntualizza il professor Torchio, è il suo fine: “il raggiungimento, seppur anticipato e momentaneo, della beatitudine eterna. Un carattere fortemente cristiano e cattolico (nel senso di universale) che abbiamo perso”
“Per Dante la Selva è un luogo peccaminoso, dove appunto incontra le tre fiere, ma ha anche un valore morale: un luogo dove siamo respinti dai peccati, così come la Lupa ricaccia il poeta prima di incontrare Virgilio; un luogo che bisogna attraversare, cercando la forza per uscirne. E la discesa nell’Inferno si fa necessaria per redimere i peccati del poeta stesso”.
L’importanza di Dante per la lingua italiana
Dante è considerato il padre della lingua italiana, nonostante nel Cinquecento fossero stati individuati in Petrarca e Boccaccio i modelli da imitare.
“All’inizio del Trecento il 60% del lessico italiano era già formato. Alla fine del secolo lo era al 90%. Gran parte del merito è dovuto a Dante – rileva il professor Torchio – E’ lui che ci ha regalato alcune parole nuove come ramarro, tafano, satira, caduco, bava. La presenza di Dante in Petrarca e Boccaccio è fortissima: il primo in maniera più implicita, quasi nascosta. I Trionfi, per esempio, sono scritti in terzine dantesche. Boccaccio invece è un dantista esplicito e orgoglioso. Anche Ariosto, altro ‘padre fondatore’ della nostra lingua, si rifà a Dante quando corregge il suo Orlando Furioso per la terza edizione”.
Da sempre tra i banchi di scuola
Dal Risorgimento in poi Dante diventa ‘il Poeta italiano’. Dal centenario (dalla nascita) del 1865 si guardò molto più a Dante che a Petrarca. “Vi è anche il dato di una presenza continua nei programmi scolastici sin dal 1860, quando Terenzio Mamiani, ministro dell’Istruzione, impose la lettura obbligatoria della Commedia nelle scuole, soprattutto nei licei, dove in linea di principio vengono formate le classi dirigenti del paese”, conclude il professore.
Il mito dantesco
Un aspetto questo che ha aiutato l’avanzata del “mito dantesco” relegando la figura di Dante al ricordo scolastico, che tuttavia non sminuisce “la potenza immaginifica di Dante legata alla sofferenza, alle pene, al dramma dell’Inferno, dove tutti i peccatori sono accomunati dalla stessa punizione: non poter accedere alla visione divina.
C’è una straordinarietà percepibile in superficie dell’architettura narrativa della Commedia che aumenta man mano che la si studia e la si conosce, dalla ‘geografia’ dantesca al concatenarsi di terzine, di versi e di rime, di intreccio tra la trama, la scrittura e la conoscenza scientifica e filosofica trasmessa da Dante”.
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”
“Conoscere Dante significa ritrovare nella nostra vita le cose che Dante descrive”.
Con queste parole di Gianfranco Contini il professor Torchio definisce le opere del nostro Poeta. Sarebbe veramente improbabile riuscire a condensare in poche parole la grandezza del Padre della lingua italiana. Non ci resta che augurarci, nel nostro cammino di mezza vita, dei buoni festeggiamenti per quest’anno dantesco. E di riuscire finalmente a dire, adesso e nelle difficoltà della vita …e quindi uscimmo a riveder le stelle.
Damiano Martin