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DANILO GALLINARI

DANILO GALLINARI

Stella del basket NBA dove gioca con i Denver Nuggets, racconta il suo rapporto con il nostro territorio, il ruolo di testimonial del “made in Italy”, il legame con la famiglia e l’attenzione verso i giovani

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Danilo Gallinari oltre ad essere un campione è anche una persona apparentemente più matura dei suoi 26 anni. Sarà forse perché ha bruciato le tappe, sportivamente e umanamente parlando: MVP del campionato italiano non ancora ventenne, approdato in NBA subito dopo oggi è uno dei più amati testimonial sportivi italiani nel mondo. Un grandissimo amore per il basket, il suo, unito ad un grande senso della famiglia e all’attenzione per i bambini. Lo testimonia per esempio il successo del camp estivo che ormai da 3 organizza proprio in Veneto, a Jesolo, e dove ogni volta le iscrizioni vengono bruciate in pochi giorni a dimostrazione di quanto “Il Gallo” sia amato dai giovanissimi del nostro territorio. Un amore corrisposto, a sentire quanto l’ala dei Denver Nuggets frequenti il Veneto.
«In Veneto sono stato anche la scorsa estate per il camp che ho tenuto per il terzo anno a Jesolo e dove ho potuto constatare sempre grande passione da parte dei giovanissimi. Ma ho frequentato e frequento tutt’ora anche altre località come Treviso e Bassano del Grappa dove vive uno dei miei più cari amici».
E del basket Veneto che opinione hai? «L’Umana Reyer è attualmente una delle realtà che mi piace di più del basket italiano. Il panorama nazionale è cambiato molto negli ultimi anni, sono cambiati gli equilibri e la geografia, e quella dell’Umana Reyer è certamente una delle piazze attualmente più interessanti. E poi in ambito cestistico il Veneto ha sempre dato tantissimo in termini di cultura del basket, storia e tradizione e l’Umana Reyer è ciò che oggi meglio lo rappresenta».
Un occhio di riguardo di Gallinari nei confronti dell’Umana Reyer giustificato anche dalla presenza in orogranata di un certo Julyan Stone, suo ex compagno di squadra a Denver, in NBA. «Posso garantire personalmente sulle sue qualità: oltre agli aspetti tecnici è un grandissimo lavoratore e una bellissima persona. A mio avviso queste sono caratteristiche fondamentali per avere successo, tanto in NBA quanto nel campionato italiano. È inoltre molto altruista, cosa che lo rende apprezzato anche dai compagni: tutti vorrebbero sempre giocare con chi ha le caratteristiche di Julyan Stone. Oltre a lui conosco bene anche coach Recalcati, con il quale ogni tanto mi sento al telefono».
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“A un bambino che sogna di arrivare in NBA, come ho fatto io, direi che tutto è possibile, che bisogna credere nei sogni e tenerseli stretti”
 
Qual è la prima cosa che secondo te il basket italiano dovrebbe importare dall’NBA e cosa l’NBA potrebbe importare dal campionato italiano? «Il regolamento, e non mi riferisco solo alle regole del gioco ma anche al funzionamento del sistema, delle franchigie e del campionato. Cosa si potrebbe esportare dall’Italia? Non saprei perché in termini di organizzazione sportiva dagli Usa c’è solo da imparare. Forse la cosa che manca negli Stati Uniti è la passione italiana ed europea perché in NBA la partita è esclusivamente uno spettacolo, un momento ricreativo. Diciamo che un mix tra il tifo Usa e tifo italiano sarebbe l’ideale».
Cosa si prova ad essere una icona del basket nazionale quale tu sei assieme a Belinelli e Bargnani? «Sono contento di rappresentare il “made in Italy” e provo a farlo tutti i giorni nel modo migliore. È una bella soddisfazione ma anche una grande responsabilità. Anche perché pur stando negli Stati Uniti ho la percezione di quanta gente dall’Italia segua con grande interesse le mie gesta ed è una motivazione in più per me».
Hai toccato il cielo con un dito e poi sei stato a lungo fuori per infortunio. Quanto è dura essere lì nel magico mondo NBA e dover soffrire in palestra per rientrare? «Molto difficile, soprattutto mentalmente. Ma sono cose che fanno parte di questo lavoro: se vuoi tornare più forte di prima devi superare anche degli ostacoli di questo genere».
Figlio d’arte, di una icona del basket quale tuo padre Vittorio è stato nella mitica Olimpia Milano di Dan Peterson, eppure riconosci tanti meriti a lui quanto a tua madre per aver avuto successo nello sport e nella vita… «Meriti o responsabilità derivano da entrambi. Sono molto legato alla mia famiglia e mi reputo fortunato ad avere due genitori così. Tutti parlano del papà, perché è più conosciuto, ma il ruolo della mamma è stato fondamentale».
Hai dichiarato anche che vorresti diventare un cittadino americano e stabilirti lì dopo la tua carriera da giocatore. Sei sempre di questo avviso? «Oramai sono parecchi anni che la mia vita si svolge qui negli Usa e quando si vive all’estero per tanti anni credo sia naturale stabilirsi dove si è. Non escludo che la mia carriera sportiva possa anche riportarmi a giocare in Italia, ma se fosse sarebbe esclusivamente a Milano e solo per un periodo perché gli Usa offrono molte più opportunità anche per la carriera post-agonistica».
Tanti giovani emergenti si stanno mettendo il luce nella serie A italiana. Hai un’idea di chi potrebbe essere il prossimo italiano a sbarcare in Nba? «Sinceramente no. Ma credo che al momento Alessandro Gentile potrebbe avere la possibilità e penso sia quello che in questo momento di avvicina di più alla possibile chiamata».

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