La critica lo ha definito il Basquiat italiano. E della sua città Emiliano Donaggio dice: “Essere artista in una città d’arte come Venezia paradossalmente è più difficile che altrove”
Un tronco arenatosi sul bagnasciuga degli Alberoni che diventa una crocefissione. Una giacca da buttare trasformata in oggetto cult. Un supermercato impacchettato da cinquecento sacchetti che riportano scritte inneggianti ad un uso migliore della vita. Questi sono alcuni dei più noti canoni espressivi dell’artista veneziano Emiliano Donaggio. E se l’uso di tinte forti, slogan, materiali di recupero, tensione ironica ed esaltazione dell’oggetto spingono la critica a classificarlo come artista neo-pop, il messaggio dei suoi lavori porta invece molto più in là. Ed anche il lusinghiero accostamento a Basquiat, esplicitamente realizzato con l’esposizione di Donaggio alla 1 Art Gallery di New York, è forse un nuovo tentativo di inscatolare la forza espressiva di un personaggio che oggi è sicuramente uno dei più interessanti artisti veneziani. Un valore quello di Donaggio colto anche dal regista Elia Romanelli che lo ha inserito nella galleria di ritratti “Chi crea Venezia”, l’ottimo documentario approdato in questi giorni nelle librerie. Un film che racconta, con la voce degli stessi artisti, il senso di una Venezia che sotto la coltre dell’invasione economico-turistica non ha del tutto perso la sua forza creativa.
Una città ancora capace di fare arte, oltreché di ospitarla, una città laboratorio e non solo vetrina, una città in cui l’iconica bellezza delle pietre è uno stimolo e non un vincolo al pensare e al produrre arte. “Per un artista veneziano non è facile emergere in questo contesto perché l’atmosfera culturale è abbastanza provinciale, nel senso che si investe e si da spazio soprattutto a chi ha già ottenuto successo a livello planetario o al contrario si vuol mostrare attenzione all’innovazione invitando giovani artisti purchè provenienti dal resto del mondo. Essere artista in una città d’arte come Venezia paradossalmente è più difficile che altrove”, spiega Donaggio. In opposizione a questo clima si pone così “Chi crea Venezia”, carrellata di artisti che, raccolto il testimone della tradizione figurativa veneziana, la portano fino alle sue estreme conseguenze, all’oggi, un documentario che si chiude appunto simbolicamente con Donaggio che dipinge la crocefissione sul tronco arenatosi sulla spiaggia degli Alberoni. Un percorso artistico quello di Donaggio che solo ad un primo approccio può sembrare estraniante perché in realtà l’artista è figlio del suo back ground veneziano, del suo cabotaggio culturale ed estetico tra l’Accademia delle Belle Arti ed il sonnacchioso e rassicurante Lido di Venezia sul cui litorale Donaggio trova però fonti inesauribili d’ispirazione. La sua ricerca artistica prende così le mosse da una forte base figurativa, sulla scia della storica tradizione lagunare, arricchita da un lungo e approfondito studio dell’opera di Leonardo Da Vinci. Poi l’amicizia e lo studio fatto con l’artista Luca Buvoli hanno spinto Donaggio verso l’arte del riciclo e la poetica del quotidiano raccontata con pennellate, scritti, immagini e mille altre forme espressive.
Ogni materiale è adatto a raccontare una storia, ma dietro la storia non c’è il consueto messaggio cinico o irridente, al contrario Donaggio esprime con la sua opera la ricerca di un Rinascimento di ideali e valori, parlando di se stesso, dei figli, di una esistenza che l’uomo spreca. Un’artista speciale Donaggio in grado di passare facilmente dall’affrontare grandi tele, al costruire installazioni in legno, all’inventare in tempo reale arte di strada colorando, segnando, incidendo tutto quello che gli capita a tiro con una vena a volte ecologista. Lavori che non lasciano mai indifferenti e che lo hanno portato alla ribalta di esposizioni e gallerie internazionali. Per la nota 1 Art Gallery di New York Donaggio era una sorta di Basquiat italiano, tanto che l’artista veneziano per quell’esposizione ha realizzato la lapide di Basquiat dipingendo la bara da cui poi è uscito, con un colpo scenografico, quale reincarnazione dell’artista maledetto newyorchese-haitiano. Un parallelismo che continuava nelle altre sale dove campeggiavano due finte tele di Basquiat, rifatte da Donaggio, e un tavolo e due sedie su cui si riflettevano le immagini dei due artisti dando l’effetto di un dialogo. Un letto matrimoniale ospitava invece fantocci dei due artisti con tutt’attorno sparse maglie e giacche dipinte da Donaggio. Dopo alcune recenti esposizioni, tra cui lo scorso anno quella nel loft V-Gate, Donaggio è ora uno dei protagonisti della mostra collettiva in programma a Venezia nel museo di Ca’ Pesaro.
Un’esposizione cui porta un significativo spaccato dei suoi lavori, con un paio di tele, una simbolica “sedia d’artista”, una divertente “valigia-coccodrillo” e poi con il grande evocativo crocifisso “Paradise shock”. Lavori realizzati tutti con materiali di recupero, tra cui soprattutto tavole di legno abbandonate. “In questo momento”, racconta Donaggio “il materiale che mi attira maggiormente è il legno perché qualsiasi uso se ne faccia il legno rimane vivo, con una sua esistenza indipendente dalla sua funzione artistica. Il legno vive quotidianamente come l’uomo”. La mostra di Ca’ Pesaro come pure l‘esposizione personale “Spazio Urbano” presso l’Urban Space di Marghera, sono così sicuramente occasioni da non perdere per chi volesse familiarizzare con l’opera di un artista destinato a lasciare il segno di questa nostra epoca, lavori in cui forse riusciamo ad intravvedere i positivi germi di un Rinascimento ideale di cui la nostra quotidianità sembra avere un indubbio bisogno.
DI SEBASTIANO GIORGI
Arte e Cultura +
CREATIVITA VENEZIANA
17 Dicembre 2009