La scoperta di uno studio coordinato dall’Università di Verona: in alcuni soggetti, l’uso dei monoclonali può favorire le mutazioni del virus
Agli anticorpi monoclonali utilizzati contro il Covid va applicato lo stesso ragionamento valido per gli antibiotici impiegati nella cura di altre malattie: sono un utile alleato, ma occorre la massima attenzione nel loro utilizzo.
Perché il Sars-CoV-2 si è dimostrato in grado di sviluppare una resistenza a questi farmaci. Esattamente come possono fare i batteri se si abusa degli antibiotici.
In pratica, cioè, con l’uso dei monoclonali si può generare nell’organismo una risposta anti infiammatoria specifica che facilita il virus nello sviluppo di mutazioni evasive della proteina spike.
Pazienti e pazienti
Lo ha evidenziato lo studio, coordinato dall’Università di Verona, con il coinvolgimento di quella di Anversa, e inserito nel progetto europeo “Orchestra”, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “The Journal of Clinical Investigation”.
Non si tratta di un risultato scientifico fine a se stesso: gli autori hanno infatti già sviluppato un algoritmo che consente di capire a priori in quali pazienti è più probabile che si produca questo fenomeno.
L’algoritmo
Utilizzando una combinazione di esami immunologici, misurati nel sangue prima dell’inizio della terapia anticorpale, attraverso l’utilizzo dell’algoritmo è possibile predire con una precisione del 96% in quali pazienti è maggiore il rischio di sviluppare mutazioni evasive del virus in seguito alla cura con monoclonali.
“Lo studio – spiega Evelina Tacconelli, direttrice della sezione di Malattie infettive dell’Ateneo scaligero e coordinatrice del progetto – fornisce dati innovativi utili nella selezione di pazienti ad alto rischio per trattamenti precoci e ci permette di mantenere alta l’efficacia dei monoclonali utilizzandoli solo nei pazienti che ne possono avere un beneficio”.
In concreto, l’algoritmo potrà così essere utilizzato per prendere le migliori decisioni relative alla cura del singolo paziente. Da un lato, si ridurranno i rischi di un fallimento del trattamento con gli anticorpi monoclonali, dall’altro sarà possibile optare nei tempi più brevi per l’impiego di un’opzione terapeutica alternativa, come quella degli antivirali orali.
Ma non solo. Avere a disposizione uno strumento affidabile come questo algoritmo potrà anche avere effetti benefici anche sulla riduzione del rischio per la collettività, diminuendo la possibile circolazione di nuove varianti evasive, in particolare tra i contatti stretti o ad alto rischio del paziente infettato.
Lo studio
Lo studio è dunque riuscito a centrare uno dei principali obiettivi del progetto Orchestra, ovvero quello di identificare predittori clinici e di laboratorio per ridurre ospedalizzazione e gravità del Covid-19, oltre a prevenire le conseguenze di lungo periodo della malattia da Sars-CoV-2.
“Riteniamo – commenta al riguardo Evelina Tacconelli – che l’utilizzo di monoclonali sulla base delle varianti circolanti e della corretta selezione dei pazienti da trattare riduca non solo la mortalità da Covid-19, ma anche il rischio di Long Covid”.
Nello specifico, per esplorare il ruolo dell’immunità dell’ospite nell’emergenza di mutazioni evasive del virus sotto la pressione dell’anticorpo monoclonale terapeutico, tra marzo 2021 e novembre 2022 sono stati studiati clinicamente 204 pazienti con Covid in forma lieve o moderata ma ad alto rischio di sviluppo della malattia in forma severa e quindi trattati con i principali farmaci di questo tipo utilizzati per la terapia contro la malattia da coronavirus.
Risultati e conclusioni
L’analisi delle varianti virali, sulla base dei dati raccolti a Verona, è stata effettuata nel laboratorio di Microbiologia medica dell’Università di Anversa. È emerso che in circa l’8% dei pazienti trattati con i monoclonali il virus sviluppa mutazioni evasive della proteina spike con notevole velocità.
I risultati hanno così suggerito che la pressione immunitaria sia un importante motore delle mutazioni di fuga. Inoltre, se la maggior parte dei pazienti riesce ad eliminare il virus nel tempo, la carica virale nei soggetti immunocompromessi resta significativamente più alta per periodi più lunghi, aumentando fino a 3 volte la probabilità che il virus sviluppi tali mutazioni.
“È stato interessante scoprire – ammette Samir Kumar-Singh, co-autore dello studio e direttore del gruppo di Patologia molecolare dell’Ateneo belga – che nello sviluppo delle mutazioni evasive non contano solo la capacità neutralizzante dei monoclonali e il sistema immunitario del paziente, ma anche l’intero processo di guarigione”.
“I nostri dati – conclude l’astratto dello studio – dimostrano che le risposte immunitarie e non immunitarie guidate dall’ospite sono essenziali per uno sviluppo di Sars-CoV-2 mutante”.
L’importanza dei monoclonali
Ciò non toglie comunque nulla all’importanza degli anticorpi monoclonali nella terapia contro il Covid. Questi farmaci riducono infatti in maniera significativa il rischio di sviluppare forme gravi della malattia e vengono utilizzati nei pazienti ad alto rischio non vaccinati o immunocompromessi, affetti da neoplasie o sottoposti a trapianto.
In questi pazienti, i monoclonali consentono di fornire la risposta immunitaria rapida a una specifica variante di virus che il singolo soggetto non è in grado di sviluppare da solo. Un corretto utilizzo dei monoclonali nella cura permetterà dunque di mantenere per le situazioni più delicate l’efficacia di una terapia che ha dimostrato la sua validità per contrastare il Covid.
Alberto Minazzi