La notizia è data da una delle più illustri riviste scientifiche, l’European archives of Oto-rhino-laryngology.
La tracheotomia può salvare un paziente gravemente affetto da Covid.
La fonte, però, è di casa.
A scoprire che questo accade, infatti, è stata l’équipe di Otorinolaringoiatria dell’ospedale dell’Angelo di Mestre, dove nell’ultimo anno le tracheotomie sono aumentate del 70% e sono state tutte effettuate come ultimo tentativo per salvare i malati gravi di Coronavirus. Tenendone in vita più della metà.
Lo studio e l’esperienza dei medici dell’Angelo
“Tracheotomia elettiva durante l’epidemia di Covid 19: a chi, quando, come? Prime esperienze da Venezia” riassume quanto accaduto a Mestre e definisce quando sia opportuno effettuare una tracheotomia per salvare un paziente Covid.
Durante la prima ondata, sono stati circa 50 i pazienti ricoverati nella Rianimazione dell’Angelo.
Di questi, 23 (dai quaranta agli ottant’anni d’età) sono stati sottoposti all’intervento di tracheotomia.
12 di loro, grazie alla tracheotomia, ce l’hanno fatta.
Cos’è e quando si pratica
La tracheotomia è un‘incisione chirurgica fatta sulla trachea permettendo il successivo collocamento di una cannula che aiuta i polmoni a ricevere l’aria e a espellerla. E’ una pratica che ha permesso negli anni di salvare innumerevoli vite, ma che mai era stata utilizzata per curare un’infezione virale.
Vi si ricorre solo in casi estremi e in presenza di insufficienza respiratoria grave su persone che hanno la necessità di esser ventilate meccanicamente.
“Questo sottolinea ancora una volta, per i pochi che continuano a non capirlo, che il Covid 19 non è un’influenza, ma una malattia che può avere risvolti letali” dicono Roberto Spinato, coordinatore della Rete di otorinolaringoiatria della provincia e Doriano Politi, primario di Otorinolaringoiatria di Mestre e Venezia, autori della pubblicazione scientifica assieme a Tiziana Volo, Paola Stritoni e Bruno Zennaro dell’équipe di Otorinolaringoiatria dell’Angelo.
La prima ondata di Covid e lo studio
“I primi giorni in cui i pazienti arrivavano in Terapia intensiva sono stati decisivi per noi otorini – ricorda TizianaVolo -. Non sapevamo che malattia avevamo di fronte e quindi se, e soprattutto quando, fosse più giusto arrivare alla tracheotomia. C’era la volontà di capire a tutti i costi come procedere. Non c’erano altre esperienze simili in Europa, solo la Cina aveva avuto a che fare con il virus prima di noi”.
“Osservando alcune esperienze in altri ospedali italiani, sembrava che facendo subito la tracheotomia si potessero liberare e alleggerire le terapie intensive – racconta il primario di Otorinolaringoiatria di Mestre e Venezia Doriano Politi -. Ma la tracheotomia precoce non era efficace come si sperava”.
La collaborazione con la Cina
E’ per questo che la squadra del dottor Politi e del dottor Spinato ha deciso di chiamare anche il professor Hui Yang, direttore di Otorinolaringoiatria del West China Hospital (Sichuan University) per confrontare le esperienze e capire se la tracheotomia avesse dato dei risultati nei pazienti affetti da Coronavirus. La risposta negativa ha suffragato l’intuizione originaria, portando i medici dell’Angelo ad affinare con successo le tempistiche di intervento.
“È il superamento dei primi quindici giorni a decretare se il paziente può avere una chance o meno di sopravvivere, e quindi di decidere di sottoporlo anche alla tracheotomia – spiega Politi – C’è anche un non trascurabile rischio operatorio per i medici e i sanitari coinvolti nella procedura, perché viene fatta in un paziente con alta carica virale e con il rischio della fuoriuscita di liquidi altamente infettanti. Non è facile – conclude -Ma siamo partiti in questa seconda ondata con una marcia in più, con l’esperienza di sapere già quando e come agire”.