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Covid 19,tra gli irriducibili e il personale sanitario stremato: "vaccinarsi è importante"

Covid 19,tra gli irriducibili e il personale sanitario stremato: "vaccinarsi è importante"
Il cardiologo Fausto Rigo

Si fa presto a dire Covid e a ridurre le questioni sanitarie alla semplice gestione diretta dell’emergenza.
L’anno e mezzo di pandemia ha portato al limite di rottura, prima di tutto psicologica, la situazione di medici e infermieri.
In particolare di quelli che si trovano a combattere in prima fila nelle strutture che, per salvaguardare le altre realtà della rete di assistenza, sono state interamente dedicate ai malati di coronavirus. E questo venendo spesso meno alle funzioni originarie dei singoli reparti.

Di nuovo al nastro di partenza

Il dottor Fausto Rigo, già primario di cardiologia all’ospedale di Dolo e all’ospedale “Dell’Angelo” di Mestre, oltre che capo dipartimento della funzione vascolare dell’Azienda Ulss Serenissma, lancia l’allarme.
Ha vissuto in prima persona, a Dolo, l’esperienza della gestione di un reparto che, da marzo 2020, è stato riconvertito dall’originaria funzione di cardiologia a quella di terapia semi-intensiva e post-intensiva. Quei letti, per capirci, in cui finiscono in una sorta di limbo pre-rianimazione coloro che hanno bisogno di caschi, alti flussi e di un’importante assistenza respiratoria pur senza necessità di ricorrere all’intubazione tracheale. Ebbene, il rischio, “oggi che a finire in ospedale con i vari gradi di malattia da Covid 19 sono soprattutto i non vaccinati”, è quello di ritornare alla casella di partenza.

Vaccinarsi serve

“Nella prima ondata della pandemia – ricorda – ci siamo tutti votati alla necessità. Ma già la scorsa estate, quando vi fu un calo fisiologico dei contagi, i reparti a Dolo non hanno mai ripreso l’attività operativa precedente. È avvenuto da noi in cardiologia, dovendo assistere pazienti-Covid con attenzioni particolari all’apparato cardio-respiratorio, ma anche nei reparti di medicina, pneumologia o geriatria. C’è uno squilibrio che va ripensato ma soprattutto, se ognuno di noi non fa qualcosa per creare una barriera contro il virus, non ne andremo più fuori”.

Medici e infermieri ancora sulla barricata

La barriera è la vaccinazione.
Il fronte degli irruducibili che parlano di dittatura sanitaria quando si tratta di scegliere di proteggersi dal virus inizia a ingrossare le fila di quanti occupano oggi reparti e terapie intensive. Molti si pentono, tutti, raccontano i medici, temono di esser giudicati. Vengono accolti, curati, anche coccolati.
Ma medici e infermieri sono stanchi. L’emergenza della prima ondata poteva esser seguita da nuovi picchi gestibili diversamente. Invece terapie intensive, reparti di pneumologia, malattie infettive, anche cardiologia, sono nuovamente destinati ai pazienti affetti da coronavirus. Con il risultato che i malati “ordinari” devono posticipare cure a volte fondamentali.

terapia intensiva coronavirus

Il ruolo della gente e l’importanza della vaccinazione

Tutti però, sottolinea Rigo, possono dare una mano a sostenere la fondamentale opera degli addetti sanitari. Vaccinandosi.
“È importante capire – afferma – che se all’inizio, come ad agosto o settembre di un anno fa, pensavamo di esserne usciti, poi il virus ci ha dato una lezione sanitaria e sociale. I contrari al vaccino per ideologia ci saranno sempre. Ma, pur nel rispetto delle idee di tutti, bisognerebbe continuare a sottolineare che vaccinarsi è un passo importante per la società, oltre che per il singolo”.
L’obiettivo, per il cardiologo, è quello di circoscrivere al più presto attorno al 10% i non vaccinati.
“Ultimamente – riprende – sento tanti che, pur dichiarando di credere al vaccino, dicono che lo faranno più tardi possibile. E questo è un serbatoio pericoloso di possibilità di trasmettere il virus in maniera più importante. Perché se è vero che un vaccinato rischia comunque di contaminarsi, una cosa è avere il virus in bocca o nel naso per un po’ di tempo, un’altra è che questo riesca a entrare nelle cellule”.

I virus: alcune precisazioni importanti

Fausto Rigo ricorda infatti che, a differenza dei batteri, un virus ha bisogno di una porta di ingresso nella cellula per avviare il processo metabolico di replicazione, potendo così decuplicare la quota di contagiosità.
Un vaccinato – rimarca – difficilmente sarà un grande diffusore. E soprattutto, di fronte a un soggetto immunizzato, il virus si indebolisce. Perché quella con cui abbiamo a che fare è una bestiaccia furbissima, che ogni volta cambia sequenza proteica. Andando avanti così, se oggi c’è la variante delta, domani avremo la variante “w” e via dicendo, senza mai venirne fuori. Essendo per di più costretti ad adeguare i vaccini in maniera sempre più raffinata”.

L’appello

L’appello è dunque accorato: “Per tornare a riempire ristoranti, stadi e palazzetti dobbiamo volerci bene tutti. Sbaglia chi parla di dittatura sanitaria: c’è in gioco la libertà sociale, ad esempio di poterci riabbracciare l’uno con l’altro. Il rischio, altrimenti, è anche quello della perdita di certi valori: se non riusciamo a far girare velocemente il vento, potrebbero esserci in futuro anche dei mutamenti della tipologia sociale”.

abbraccio in una bolla
L’emozionante abbraccio di un’anziana madre e il figlio

La sanità a rischio

Per tutto il personale, a partire da quello infermieristico, questo anno e mezzo è stato di grande sacrificio.
“Quando uno ha la vocazione – riprende il cardiologo – lavora con disponibilità. E, di fronte a una situazione “di guerra”, si adatta. Quando però questa situazione diventa la regola e, ad esempio, da un anno e mezzo non si gestisce più un paziente cardiopatico, come si faceva in precedenza, il logorio è notevole”.
Anche perché lavorare in un reparto-Covid, dove c’è anche un forte impatto psicologico – conclude -è tutt’altro che semplice”.
Qualcuno resiste. Altri, se possono, se ne vanno.
Capisco e non biasimo – commenta Rigo – chi sceglie di dire basta, se trova un altro lavoro. Non so quanto a lungo potrà durare questa situazione. Nel mio reparto, su 10 medici se ne sono licenziati 3. E in tutto l’ospedale di Dolo quasi una trentina ha scelto di passare al privato o a un’altra struttura. Perché la missione-Covid può durare anche 6 mesi, ma non certo un anno e mezzo”.

Troppe morti per mancanza di cura

Già adesso, in ogni caso, le conseguenze si vedono. “Chi ha interventi o esami da fare è stato messo da parte. I dati nazionali sono chiari, con un eccesso di mortalità extra Covid che ha toccato il 15%, addirittura il 25% in certe aree.
A casa si muore prima di tutto per cardiopatie ischemiche, prima causa di morte a prescindere dal Covid, o di cancro, terza causa. Occorre fare prevenzione ma la sanità non è più in grado di dare risposte alla gente. E non si può pensare a tirare ancor di più la corda, chiedendo al personale già provato dal Covid di diventare un superprotettore della sanità, facendo straordinari su straordinari, e la telemedicina, in era di pandemia, è stato un compromesso a volte inevitabile ma non sempre in grado di surrogare adeguatamente visite mediche in presenza ed esami diagnostici. Certo non invidio chi deve gestire la sanità in questo momento, perché mai avrei immaginato, in 40 anni di attività, che ci saremmo trovati in questa situazione. Bisogna intervenire”.

 

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