Lo affermano i risultati di uno studio inglese: effetti simili al passaggio da 50 ai 70 anni
Chi supera un Covid in forma grave può però ritrovarsi, dopo la malattia, con un cervello “più vecchio”, con una perdita di cognizione e velocità di elaborazione “simile in grandezza agli effetti dell’invecchiamento tra i 50 e i 70 anni di età”, “coerente con una maggiore disfunzione cognitiva rispetto all’invecchiamento accelerato o demenza”, e pari a 10 punti di Q.I. in meno.
È la conclusione a cui è giunto un gruppo di studiosi di Cambridge, che ha pubblicato nei giorni scorsi su “eClinical Medicine – The Lancet” i risultati dello studio “Multivariate profile and acute-phase correlates of cognitive deficits in a Covid-19 hospitalised cohort”.
Un approfondimento delle ricerche in corso che conferma l’associazione tra Covid in forma grave e deficit cognitivi persistenti.
Deficit misurabili. Più gravi per chi è stato sottoposto a ventilazione meccanica
“I sopravvissuti al Covid-19 – illustra l’articolo – erano meno accurati nelle loro risposte rispetto al previsto nei confronti dei controlli abbinati. I deficit cognitivi dopo un Covid-19 grave sono strettamente correlati alla gravità della malattia acuta, persistono a lungo nella fase cronica e si riprendono lentamente, se non del tutto, con un profilo caratteristico che evidenzia funzioni cognitive e velocità di elaborazione più elevate”.
“Gli individui che sopravvivono a una grave malattia da Covid-19 – prosegue lo studio – hanno deficit cognitivi oggettivamente misurabili, che durano molti mesi. Prendendo le dimensioni degli effetti come indicatore, la scala di quei disavanzi era ampia”. I livelli di sottoperformance, aggiungono i ricercatori, erano ancor più marcati nel caso dei pazienti che erano stati sottoposti a ventilazione meccanica.
La difficoltà di “trovare le parole”
I deficit all’interno di specifici domini cognitivi, inoltre, sono stati ancora maggiori. Ad esempio, “i tempi di risposta delle analogie verbali erano in media di 1,3 DS più lunghi per tutti i pazienti e di 1,7 DS per coloro che avevano richiesto la ventilazione meccanica”. “Questi risultati – conclude l’articolo – sono in accordo con i problemi auto-riferiti di “trovare le parole” e studi di casi neuropsicologici che indicano deficit di fluidità verbale in pazienti con Covid-19 gravi dopo il recupero”.
Ansia, depressione e disturbo da stress post traumatico dissociati dalla gravità della malattia
I ricercatori hanno sottoposto a una valutazione cognitiva computerizzata dettagliata 46 persone curate per un Covid grave presso l’ospedale di Addenbrooke tra il 10 marzo e il 31 luglio 2020.
Di questi, 16 erano stati sottoposti anche a ventilazione meccanica.
I dati sulle prestazioni mentali del campione (dalla memoria, all’attenzione, al ragionamento) sono stati confrontati con un gruppo di controllo di 460 soggetti, tenendo conto dell’età e dei fattori demografici.
Tra i fattori considerati, i compositi di precisione globale e tempi di risposta, oltre a scale che misurano umore ansia, depressione e disturbo da stress post-traumatico risultati però “sufficientemente dissociabili dalla gravità della malattia acuta per essere valutati all’interno della matrice predittiva.
Tra le cause probabili, l’ossigenazione del cervello e le risposte infiammatorie
Il modello di deficit tra le attività, che ha preso in considerazione gravità acuta e stato di salute mentale tanto al momento della valutazione quanto a quello del ricovero in ospedale, è stato inoltre qualitativamente confrontato con il normale declino correlato all’età e la demenza allo stadio iniziale.
L’analisi è stata quindi ripetuta, per i 43 pazienti in fase cronica, a più di 90 giorni dall’esordio dei sintomi, mostrando risultati simili.
L’attenzione, adesso, si sposterà sulla ricerca delle cause del declino cognitivo legato al Covid, che si ipotizza possa essere correlato a una combinazione di fattori: dall’ossigenazione del cervello alle risposte infiammatorie dell’organismo.
Alberto Minazzi