Uno studio del Careggi di Firenze ha messo a confronto il Long Covid del virus di Wuhan e quello della variante Alfa
La perdita dell’olfatto e i problemi di udito da un lato, l’affaticamento cronico e l’ansia e la depressione dall’altro.
Il virus è sempre quello, il Sars-CoV-2, ma gli strascichi a lungo termine, il cosiddetto Long Covid, possono essere ben diversi.
Soprattutto se diverse sono state le varianti a provocare l’infezione.
È quanto ha teorizzato, sulla base del follow up di un gruppo di pazienti, il lavoro multidisciplinare svolto da un team di ricercatori dell’Azienda ospedaliero-universitaria del Careggi e dell’Università di Firenze i cui risultati saranno presentati al Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive di aprile a Lisbona.
Varianti e Long Covid
“Si tratta di uno studio ancora molto preliminare, perché avevamo a disposizione dati relativi solo al virus di Wuhan e alla variante Alfa- premette il ricercatore presso il Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica dell’Università di Firenze Michele Spinicci, infettivologo presso il reparto Malattie Infettive e Tropicali della AOU Careggi – . Ma ci permette di ipotizzare che da diverse varianti possano derivare diversi fenotipi di Long Covid, che resta comunque una realtà ancora da capire a fondo”.
Anche sul perché ciò avvenga, sottolinea il ricercatore toscano, “non ci sono ancora risposte definitive, ma è probabile che le mutazioni possano indurre una diversa interazione tra la proteina del virus e l’ospite, dal primo contatto all’ingresso nell’organismo. In genere, infatti, un virus con Spike mutata, oltre a variare in trasmissibilità e gravità della malattia provocata, si comporta in modo diverso all’interno dell’ospite”.
Lo studio
Il gruppo di lavoro fiorentino ha monitorato 428 pazienti, dei quali 254 uomini e 174 donne, dimessi dall’ospedale da un periodo tra le 4 e le 12 settimane e seguiti nel post-Covid nell’ambulatorio del Careggi tra giugno 2020 e giugno 2021.
In ben 325, il 76%, hanno sviluppato sintomi persistenti, in linea con altre casistiche, nella maggioranza dei casi mancanza di respiro (37%) e affaticamento cronico (36%), poi problemi di sonno (16%), problemi visivi e nebbia cerebrale (13%).
La probabilità di sviluppare un Long Covid è risultata 6 volte superiore per chi ha assunto farmaci immunosoppressori ed è cresciuta del 40% per chi ha ricevuto ossigeno ad alto flusso.
I ricercatori hanno quindi confrontato i sintomi segnalati tra marzo e dicembre 2020, legati soprattutto al virus Wuhan, e tra gennaio e aprile 2021, quando era prevalente la variante Alfa. Ed è risultato che, con la mutazione, sono diminuiti anosmia, disgeusia e problemi di udito, mentre sono aumentati dolori muscolari, insonnia, ansia e depressione.
Donne, diabetici e vaccino
Dallo studio del Careggi emergono anche altri dati significativi.
Il primo è che le donne hanno riferito quasi il doppio di sintomi di Long Covid rispetto agli uomini.
“Anche questo – rimarca Spinicci – è un dato consolidato in letteratura. Ed è abbastanza interessante ricordare che, al contrario, sono i maschi ad avere un maggior rischio di un’evoluzione grave della malattia in fase acuta”. Anche se, ammette il ricercatore, “c’è una sicura correlazione tra sintomi acuti e Long Covid”.
Un dato che, invece, l’infettivologo definisce “difficile da commentare, perché mancano informazioni a riguardo in letteratura, e quindi va confermato e approfondito” è quello emerso relativamente ai malati di diabete di tipo 2, che sono risultati meno a rischio di Long Covid, pur essendo tra i più duramente colpiti dalla malattia in fase acuta.
Un altro aspetto su cui tornare è infine quello dell’incidenza del vaccino.
“Sicuramente i diversi tipi di Long Covid – conclude Michele Spinicci – dipendono dal virus. Nella nostra casistica, però, c’erano pochissimi vaccinati: sarà interessante vedere, di qui in avanti, se la vaccinazione riduce il rischio di Long Covid”.
Con Omicron ridotti i postumi neurologici e respiratori
Considerato il periodo di riferimento, nello studio mancano anche dati sul Long Covid legato alle varianti Delta e Omicron.
In questa prospettiva, può al momento aiutare solo l’esperienza diretta. Come, ad esempio, quella di Andrea Vianello, direttore della Fisiopatologia respiratoria dell’Azienda ospedaliera di Padova. “Quanto al Long Covid – premette – ritengo sia molto difficile avere dati confrontabili su Omicron, che è esplosa solo 5 mesi fa e quindi manca il follow-up. Posso dire però che è ragionevole attendersi delle differenze, visto che la persistenza e la gravità è strettamente legata alla severità della fase acuta. E le differenze potrebbero in astratto legarsi al differente trofismo del virus, che coinvolge maggiormente alcuni sistemi rispetto ad altri”.
“Quel che si sta notando sui circa 700 pazienti che abbiamo visto in questa ondata – afferma però Vianello – è che quest’ultima fase molto raramente lascia reliquati. Non si può dire se questo sia dovuto alla diversa variante o all’impatto del vaccino sul Long Covid. In ogni caso, posso dire sulla base dell’esperienza che si sono di molto ridotti gli effetti neurologici e respiratori di lungo termine. Ad esempio, negli ultimi 3-4 mesi non si sono più visti casi di gravi fibrosi polmonari tali da costringere in alcuni casi il paziente al trapianto. Sembra invece permanere il dato sulla sintomatologia generale, con effetti come astenia e alcuni casi di depressione”.
Alberto Minazzi