Uno studio dell’Ingv pubblicato su Scientific Reports approfondisce la conoscenza della struttura del mantello terrestre dell’Italia meridionale
Anche se può sembrare strano, perfino l’analisi di terremoti avvenuti a distanze superiori a 1000 km dall’Italia può consentire di conoscere meglio la struttura del nostro sottosuolo. “Le onde sismiche, attraversando tutto il pianeta, sono degli ottimi strumenti di indagine dell’interno della Terra”, conferma Luciano Scarfì, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Proprio dall’osservazione dei dati provenienti da questi sismi lontani, un team di sismologi dell’Osservatorio Etneo dell’Ingv, tra cui lo stesso Scarfì, è riuscito dunque a ottenere nuove informazioni sull’architettura del mantello superiore dell’Italia meridionale, individuando l’esistenza di una discontinuità del mantello terrestre profonda fino a circa 150-200 km.
Ma non solo. Nello studio “Seismic anisotropy to investigate lithospheric-scale tectonic structures and mantle dynamics in southern Italy”, appena pubblicato sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, i ricercatori hanno approfondito le possibili correlazioni tra faglie sismogenetiche (ovvero potenzialmente capaci di generare terremoti) già note al livello della crosta terrestre e strutture profonde che interessano il mantello superiore.
Proprio la discontinuità appena individuata sembrerebbe infatti essere all’origine di un importante sistema di faglie che si propaga attraverso l’intera Sicilia, dalla zona a sud dell’Etna, in direzione ovest-nord-ovest, fino alla costa settentrionale. “È in particolare la direzione lungo la quale oscillano le particelle interessate dal passaggio delle onde sismiche, la cosiddetta, “polarizzazione”, – riprende Scarfì – a essere indicativa della struttura del mantello superiore. In questo modo abbiamo ottenuto informazioni interessanti e dettagliate sull’assetto tettonico dell’Italia meridionale, collegando le strutture geologiche superficiali a quelle più profonde”.
“Lo studio – aggiunge Carla Musumeci, coautrice della pubblicazione, è stato reso possibile grazie alla densità delle stazioni sismiche distribuite nel territorio e all’applicazione di metodologie che hanno permesso di analizzare un grande quantitativo di dati”. “I prossimi passi – conclude Marco Firetto Carlino, altro coautore – prevedono l’utilizzo di tecniche avanzate per migliorare ulteriormente la conoscenza del quadro geodinamico del Mediterraneo centrale e delle relazioni che intercorrono tra tettonica e vulcanismo”.