Il Tar del Lazio impone al Ministero della Salute di trasmettere il Piano nazionale di emergenza
di Alberto Minazzi
Esiste o no, in Italia, un Piano nazionale di emergenza per contrastare il coronavirus? Ed esisteva già a gennaio, quindi prima dell’esplosione della pandemia, nel nostro Paese?
Domande semplici solo in apparenza, perché dietro c’è una vicenda degna delle migliori spy stories. Su queste questioni, però, presto si saprà molto di più.
Il Tar del Lazio ha infatti accolto il ricorso presentato dai deputati Galeazzo Bignami e Marcello Gemmato. E ha imposto al Ministero della Salute di trasmettere ai ricorrenti entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza, copia del Piano nazionale di emergenza.
La sentenza del Tar
Il nodo del contendere si lega a un’intervista al Corriere della Sera (“mai smentita né dall’interessato né, tanto meno, dal Ministero”, come precisa il Tar) rilasciata il 21 aprile 2020 dal direttore generale della Programmazione sanitaria del Ministero della Salute, Andrea Urbani.
Riguardo al Piano, dalle parole di Urbani, spiega il giudice amministrativo, si evince “in modo inequivocabile” che, come afferma lo stesso direttore, “già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano secretato e quel piano abbiamo seguito. La linea è stata non spaventare la popolazione e lavorare per contenere il contagio”.
“A quel piano – come hanno aggiunto i ricorrenti ed è stato riportato nella sentenza – seguì la creazione di una task force, come viene sempre riferito nell’articolo, che vide la luce il 22 gennaio, come evincibile dal comunicato stampa del Ministero ancora oggi visibile sul sito ufficiale del Ministero della Salute”.
Lo studio di febbraio della fondazione Kessler
Il ricorso dei due deputati è stato giudicato ammissibile come “istanza di accesso civico” ex articolo 116 del codice del processo amministrativo. Una possibilità di accedere ai documenti amministrativi concessa, in ossequio al principio di trasparenza, a ogni cittadino, non solo ai parlamentari.
Al riguardo, il Ministero ha depositato in giudizio, dopo averlo acquisito dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento, il documento che riteneva essere oggetto della richiesta.
Ma lo studio “Scenari di diffusione di 2019-NCOV in Italia e impatto sul Servizio sanitario, nel caso in cui il virus non possa essere contenuto localmente” non è stato ritenuto dal tribunale come oggetto del ricorso. Anche perché è stato illustrato il 12 febbraio. Cioè dopo il Piano di cui ha parlato Urbani.
I piani per la gestione delle pandemie
La sentenza chiarisce inoltre che “la circostanza che si tratti di un piano che non è provato sia poi sfociato in un vero e proprio provvedimento applicativo, nell’ottica del diritto di acquisirne copia è del tutto irrilevante”. Il riferimento di questo passaggio del giudice va al fatto che “i ricorrenti hanno dimostrato che precedenti piani per la gestione di pandemie sono stati predisposti dal Ministero intimato”.
Su questo fronte, resta intanto aperta un’altra vicenda, non oggetto della sentenza amministrativa.
Come risulta dal sito del Ministero della Salute, il Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale è sempre quello pubblicato il 10 febbraio 2006.
In tutti questi anni, cioè, non è intervenuto alcun aggiornamento. E questo, denuncia un rapporto dell’Oms, avrebbe contribuito a portare il nostro Paese sull’orlo del collasso di fronte al dilagare della pandemia. Sarebbe comunque ora pronta la nuova bozza del Piano pandemico influenzale per il periodo 2021-23.
Vaccini: l’Italia valuta il ricorso per i ritardi
Tra una bega giudiziara e l’altra, il Governo italiano, intanto, sta valutando, attraverso l’Avvocatura generale, la possibilità di attivare azioni legali nei confronti dell’azienda farmaceutica Pfizer per i ritardi e i tagli nelle forniture delle dosi di vaccino concordate.
Tra il -29% della scorsa settimana e il -20% annunciato per questa settimana, il numero di persone sottoposte alla vaccinazione anti-Covid è letteralmente crollato.
Si è passati cioè da una media di 80 mila somministrazioni al giorno a circa 28 mila, costringendo in pratica a concentrarsi solo sui richiami.
Il piano vaccinale va dunque rivisto. Mentre, in parallelo, si sta anche pensando se innalzare le misure di prevenzione per evitare un nuovo boom dei contagi legati alle varianti inglese e sudafricana.
Il problema è che anche AstraZeneca, che dovrebbe avere il via libera dall’Ema il 27 gennaio, ha già annunciato che non riuscirà a rispettare il piano di consegne stabilito.
Invece degli 8 milioni di dosi previste entro metà marzo, in Italia ne dovrebbero così arrivare solo 3,4 milioni, a partire dal 15 febbraio e con cadenza ogni due settimane.
Comprese le circa 1,3 milioni di dosi di Moderna, il contingente complessivo dei tre vaccini potrebbe quindi essere dimezzato rispetto ai 28 milioni previsti dal piano.