La sentenza della Cassazione condanna la conducente del veicolo per la morte di un passeggero che non aveva utilizzato il sistema di sicurezza
Molti le vedono solo come un fastidioso adempimento in più da rispettare, per evitare le multe (da 83 a 332 euro, più 5 punti patente), quando si sale in macchina. Obblighi peraltro relativamente recenti: devono essere montate a bordo solo dal 1976, mentre devono essere allacciate da chi si siede sui sedili anteriori del 1988 e su quelli posteriori dal 2006.
Le cinture di sicurezza sono invece prima di tutto un importante strumento di tutela della vita. Il Dipartimento dei trasporti dell’Arizona, negli Stati Uniti, ha per esempio calcolato che la probabilità di morte durante un incidente aumenta fino a 34 volte se non sono stati allacciati correttamente i dispositivi che ci assicurano al sedile.
Tragici epiloghi che, oltre alle drammatiche conseguenze dirette sotto forma di decesso, possono rovinare la vita anche di chi sopravvive all’impatto. Perché, rovesciando l’iniziale sentenza di assoluzione, la Cassazione ha ora affermato la responsabilità per omicidio colposo della conducente in un incidente conclusosi con esito infausto proprio a causa del mancato allaccio.
L’incidente e la sentenza di assoluzione del Tribunale
Il fatto a cui fa riferimento la Corte risale alla notte del 31 dicembre 2015. Allora, per evitare un cane randagio che le era comparso di fronte, la conducente dell’auto, una 29enne di Alatri in provincia di Frosinone, era finita fuori strada. E, nell’incidente, aveva perso la vita sul colpo, schiacciato dal veicolo, un ragazzo di 18 anni.
Il giovane, che sedeva sul sedile posteriore della macchina, fu trovato con mezzo busto all’esterno dell’abitacolo, a testimonianza del mancato allaccio delle cinture. E il perito nominato dal Tribunale ritenne che il corretto utilizzo della cintura avrebbe “ragionevolmente impedito” le conseguenze funeste per il ragazzo.
La conducente e un’altra passeggera, che indossavano la cintura, riuscirono invece a salvarsi dopo un ricovero in ospedale in codice rosso. La ragazza alla guida fu dunque accusata di omicidio colposo. Ma il processo che ne seguì si concluse, a marzo 2024, con l’assoluzione da parte del Tribunale di Frosinone, in quanto “il fatto non costituisce reato”.
Secondo la motivazione esposta in primo grado, infatti, la donna non era imputabile per la mancanza nell’auto di sistemi acustici per segnalare il mancato utilizzo delle cinture. E, comunque, non si poteva pretendere, da parte della conducente, una continua verifica del rispetto della misura di sicurezza durante la marcia del veicolo.
Il guidatore deve controllare l’allaccio delle cinture dei passeggeri
Il procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma ha però proposto ricorso contro la sentenza, basando la sua richiesta sul combinato disposto degli articoli 589 del Codice penale e 172 del Codice della strada. Una tesi ritenuta fondata e accolta dalla Corte di Cassazione, che ha annullato la sentenza di assoluzione il 18 dicembre scorso.
La Procura aveva sostenuto che risponde di omicidio colposo il guidatore che, prima di mettersi in moto, non esige che i passeggeri indossino la cintura di sicurezza e faccia scendere chi non rispetta la norma. L’automobilista, inoltre, deve verificare l’allaccio anche durante la marcia, interpellando sia l’interessato che gli altri passeggeri.
Nel caso specifico, hanno spiegato i giudici della Suprema Corte, disponendo un nuovo giudizio davanti alla Corte d’appello di Roma, questo non è avvenuto. E non esclude il nesso causale tra la condotta della ragazza e la morte del passeggero la mancanza di avvisatori acustici per segnalare il mancato allaccio.
In tal senso, comunque, esistono già sensori anche per i sedili posteriori. E gli Stati Uniti, per primi, hanno previsto, attraverso una direttiva del National Highway Traffic Safety Administration, l’obbligo di installarli a bordo in tutti i veicoli a partire dal 2027.
Alberto Minazzi