Una patologia dell’anca provoca dolore e difficoltà a camminare in chi ne soffre.
La via tradizionale con cui la medicina affronta questi problemi è quella della protesi artificiale per la sostituzione dell’osso.
I progressi della scienza hanno però permesso di individuare tecniche meno invasive per evitare l’impianto.
In quest’ambito (tecnicamente definito “chirurgia conservativa dell’anca”) l’area metropolitana veneziana conta su un’eccellenza nazionale, apprezzata anche all’estero: l’ospedale di Portogruaro.
Portogruaro centro di riferimento regionale
L’ospedale di Portogruaro è stato la prima struttura in Italia a praticare la tecnica sviluppata da Reinhold Ganz. Il professore emerito dell’Università di Berna, considerato il “padre” della moderna chirurgia conservativa dell’anca, per 15 anni ha operato proprio nel nosocomio del Veneto orientale, insieme al dottor Luigino Turchetto, al quale ha insegnato questa metodologia di intervento.
Proprio Turchetto, con le operazioni effettuate insieme al suo staff, ha fatto di Portogruaro, insieme alla clinica universitaria di Torino, il centro in cui viene eseguito il maggior numero di interventi di chirurgia conservativa dell’anca in Italia.
La Regione Veneto ha ora riconosciuto la qualità dell’attività svolta, classificando l’unità operativa portogruarese come centro di riferimento regionale nel settore.
La chirurgia conservativa dell’anca
Gli interventi chirurgici effettuati dal team del dottor Turchetto sono piuttosto impegnativi e richiedono un lungo periodo di apprendimento.
Attraverso l’uso di bisturi, scalpelli e viti non solo si evita l’impiego di una protesi, ma si ottengono numerosi benefici già nell’immediato.
Il paziente operato, infatti, non ha bisogno di apparecchiature di stabilizzazione esterna. Inoltre, fin dai primi giorni dopo l’intervento, può muoversi, pur senza caricare l’arto, utilizzando semplici stampelle.
Sono molti i ragazzi affetti da patologie congenite all’anca, provenienti da tutta Italia e dall’estero, che si recano a Portogruaro per sottoporsi alla chirurgia conservativa.
Le anomalie congenite, se non corrette, causano infatti la precoce degenerazione dell’articolazione, fino all’artrosi e alla necessità di sostituzione con una protesi.
«I giovani – sottolinea Turchetto – arrivano in questo reparto dopo un percorso di vita complesso e doloroso. La ridotta mobilità e la difficoltà a deambulare li penalizza fortemente e spesso determina in loro anche problemi psicologici».
Chirurgia dell’anca a Dolo
Sono diverse le moderne tecniche per intervenire in forma conservativa sull’anca.
A Dolo, per esempio, si applica quella perfezionata dal professor Manuel Ribas dell’Università Dexeus di Barcelona.
In questo caso, si interviene saldando i muscoli dei glutei nei casi di cosiddetta lesione della cuffia abduttoria dell’anca. Si tratta di una patologia che colpisce circa il 25% della popolazione, attraverso una degenerazione dei tendini e dei tessuti.
Dal 2017, nell’ospedale dolese, è stata effettuata una trentina di questi interventi, con una percentuale di successo pressoché totale.
Il 98% dei pazienti ha potuto riprendere completamente la funzionalità motoria, abbandonando del tutto le stampelle. Per chi subisce la lesione della cuffia abduttoria si rende infatti necessario l’utilizzo di ausili per la deambulazione.
Ortopedia di Dolo: porte riaperte
Durante la fase di massima diffusione del virus, l’ospedale di Dolo era stato scelto come Centro Covid dell’Ulss 3.
Il lavoro del reparto di Ortopedia si è così trasferito per un paio di mesi a Mirano, dove sono state eseguite circa 600 visite, comprese le urgenze, e 130 interventi, tra fratture e operazioni urgenti e indifferibili. Poi, superata la fase emergenziale, i vari reparti sono stati restituiti alle loro funzioni originarie. Quello di Ortopedia è tornato a riaprire dal 30 maggio, non solo alle urgenze, ma anche agli interventi programmati, che sono ripartiti fin dai primi di giugno.
Ogni anno, il reparto dolese effettua circa 2.000 interventi, tra traumatologia e ortopedia in elezione. Di questi interventi, nel 2019 sono state trattate in particolare 348 fratture di femore. «Si tratta – commenta il primario, Paolo Esopi – di un risultato di assoluta eccellenza tra i reparti ortopedici del Veneto. Anche perché l’80,2% degli interventi è stato eseguito entro le 48 ore».