Cefali. Tanti, veramente tanti. Quasi un tappeto sul fondale di alcuni canali e rii interni al centro storico di Venezia.
Lo spettacolo verificatosi nei giorni scorsi, e rilanciato da molti sui social network, ha colpito ancor di più perché contrapposto a una città svuotata dall’emergenza coronavirus.
Ma si può parlare di un evento eccezionale?
“Guardando agli ultimi 10 anni no”, assicura Massimo Parravicini, presidente dell’associazione “I Vagantivi” e grande conoscitore della Laguna.
Ritorno in città alla ricerca di caldo e cibo
Che cosa sia cambiato nell’ultimo decennio, dal punto di vista strettamente scientifico, Parravicini non è in grado di spiegarlo. Quali siano i motivi che richiamano questi pesci in centro storico per il presidente de “I Vagantivi” è invece chiaro: “Sono principalmente due fattori – dice – la temperatura un po’ più calda delle acque interne alla città e la maggior facilità di trovare cibo lungo gli scarichi. Questo permette loro di far meno fatica per sopravvivere”.
La migrazione dei cefali dal mare alla Laguna inizia con la cosiddetta “quaresima” primaverile e dura fino alla “fraima” autunnale. Il periodo di maggior presenza di questi pesci tra le isole lagunari è tradizionalmente quello dei mesi più caldi. “Lungo il canale di Murano – evidenzia Parravicini – il fondale è pieno di cefali, anche di grosse dimensioni”. Ma se in estate è raro vedere all’interno del centro abitato grossi banchi come quelli fotografati in questi giorni, il fenomeno, in questi periodi invernali, è diventato invece sempre più frequente.
I cefali “caustei”
Parlare genericamente di “cefali”, però, non è sufficiente. Nei mari tropicali sono presenti infatti ben 75 specie di questo pesce. In Laguna, come in Italia, se ne conoscono 5.
C’è il cefalo comune, o muggine. C’è il cefalo dorato, “oltregan” in veneziano, che è il più pregiato quanto a qualità delle carni. C’è il cefalo “liza saliens”, conosciuto in dialetto come “vesellata”. C’è il cefalo “bòsega”. E infine il cefalo calamita. Ovvero quel “causteo” che si è presentato in massa nelle ultime ore nei canali veneziani.
Il causteo è un pesce che raggiunge mediamente i 70 cm e un peso di 5 kg.
La qualità delle sue carni è mediana, tra i vari cefali, tant’è che riveste uno scarso interesse economico ed è commercializzato solo a livello locale, fresco o congelato.
“Tutti i cefali – riprende il presidente de “I Vagantivi” – sono commestibili: quello che cambia, è il loro gusto”.
Se insomma qualcuno, approfittando della massiccia presenza nei rii, volesse provare a pescarli, poi potrebbe servirli in tavola. Senza timore del fatto che, probabilmente, quel cefalo si è nutrito anche dei prodotti degli… scarichi fognari. “Non essendo una specie predatrice come ad esempio il branzino – precisa Parravicini – il cefalo in effetti mangia di tutto. Ma gli scarichi umani in Laguna ci sono sempre stati. E rientrano ormai nel ciclo naturale”.
Lockdown benefico per la fauna e la flora lagunare
Il fenomeno di dicembre non è comunque direttamente collegato con gli effetti del lockdown.
Anche se la diminuzione della circolazione di mezzi acquei dovuta alla pandemia, con conseguente riduzione del moto ondoso, ha in ogni caso prodotto effetti benefici per la vita in Laguna.
“Prima ancora della riduzione dell’erosione dei fondali – commenta Parravicini – è la minor torbidità dell’acqua ad aver favorito processi virtuosi di miglioramento ambientale. Perché la vita nell’acqua è senza dubbio sinonimo di una sua maggior qualità”.
Prima ancora che dalla presenza dei pesci, il segnale in questa direzione deriva dal ritorno delle piante fanerogame. Piante, sottolineano gli esperti, non alghe, che svolgono una importantissima funzione, simile a quella degli alberi sulla terraferma. Cioè, assorbono l’anidride carbonica e rilasciano ossigeno. Oltre a fungere da riparo dai predatori per alcune specie ittiche. Non a caso, I Vagantivi hanno da tempo attivato, per primi in via sperimentale, un’attività di piantumazione di queste piante, finalizzata all’aumento della presenza di specie in Laguna. E, in tal senso, hanno subito trovato il supporto di Ca’ Foscari, Magistrato alle Acque e Ispra, coinvolti nel progetto SeResto, riconosciuto a livello europeo anche attraverso un finanziamento.
Le fanerogame e i pesci
Le storie di simbiosi tra pianta e pesce sono diverse. C’è ad esempio il “peo da ciosso”, pianta che nutre con le sue radici i teschioni. O lo “strigo da go”, sotto il quale il ghiozzo costruisce le proprie tane.
“In Laguna – ricorda il presidente de “I Vagantivi” – erano presenti vere e proprie grandi praterie di queste piante. E i pescatori riconoscevano nei piccoli avvallamenti lungo le stesse praterie i punti in cui pescare i go. Del resto, ritengo che siano proprio i pescatori amatoriali, al giorno d’oggi, i detentori della tradizione della pesca in Laguna”.
Gli stessi cefali traggono beneficio dalla riduzione della temperatura dell’acqua innescata, ancora come gli alberi, dalla presenza di queste piante. Perché, se d’inverno cercano il caldo, d’estate evitano le acque troppo surriscaldate.
Le meduse
Discorso diverso, infine, è quello legato alle meduse, anch’esse avvistate più volte in Laguna negli ultimi mesi. Qui non si tratta infatti di trasparenza dell’acqua, ma di salinità.
“Le meduse – conclude Parravicini – sono tipiche del mare. La loro presenza in quantità elevata all’interno della Laguna è dunque da correlare soprattutto alla scarsa immissione di acque dolci. Può, cioè, in parte essere un fenomeno collegato alla qualità delle acque. Ma, in primis, si deve alla maggior salinità della Laguna odierna rispetto a un tempo”.