La Corte di Cassazione dà ragione ai ricorrenti in una causa iniziata nel 1973 contro lo Stato
La giustizia italiana non brilla sicuramente per la rapidità, ma questa volta si è concessa tempi davvero comodi. A un gruppo di ricorrenti del Cavallino, sul litorale veneziano, ci sono voluti infatti 50 anni per vedere riconosciute le proprie ragioni in una causa che si è ora chiusa con la condanna dello Stato.
Perché la sentenza della Corte di Cassazione appena pubblicata ha confermato il fondamento giuridico delle richieste dei privati. O, meglio, delle richieste che erano state presentate nel 1973. Perché diversi tra i proprietari che si erano visti sottrarre arbitrariamente una parte dei possedimenti di loro proprietà oggi non ci sono più.
Una storia lunga 50 anni
La causa pendente, dunque, è sopravvissuta anche a molti tra coloro che l’avevano messa in piedi. Ma, insieme ai magistrati chiamati a esprimersi e agli avvocati originari, non è l’unica cosa che è cambiata, in questi anni. Per esempio, Cavallino, a quei tempi, faceva parte del territorio di Venezia, mentre dal 1999 è Comune autonomo, insieme alla vicina Treporti. Quel che è rimasto, invece, sono i fondamenti di diritto alla base della richiesta. Che, sia pur dopo tanto tempo, sono stati ora riconosciuti.
La difesa della proprietà dei privati
E se la vicenda è approdata in aula con l’azione civile del 1973, il fatto discusso è ancor più risalente. Bisogna arrivare infatti alla grande alluvione del 1966, con la mareggiata che invase anche gli orti tipici a ridosso delle spiagge.
Nella realizzazione delle strutture di protezione dal mare, il Consorzio di bonifica del Basso Piave eresse un muraglione che fu considerato poi anche come limite della delimitazione tra demanio marittimo e terreni privati, come quelli dei titolari dei campeggi che decisero di ricorrere.
La vittoria dei cittadini
L’iter giudiziario di quella che è arrivata fino ad oggi come la più vecchia causa pendente della giustizia italiana portò al rigetto delle domande da parte del Tribunale di Venezia nel 1992.
Presentato l’appello e trascorsi altri 25 anni, i giudici d’appello invertirono l’esito. Riconoscendo che l’alluvione del 1966 aveva sì alterato lo stato dei luoghi, ma senza determinare modifiche tali da far passare beni privati al demanio marittimo.
Piena proprietà dei terreni che ora è stata definitivamente confermata dal pronunciamento della Cassazione, che ha condannato lo Stato anche a risarcire i privati delle spese legali.
La lenta giustizia italiana
Questo è un caso limite ma i dati dei monitoraggi della giustizia civile e penale che il Ministero della Giustizia tiene aggiornati con cadenza trimestrale evidenziano come la giustizia italiana sia ancora troppo lenta.
L’ultimo aggiornamento, pubblicato il 31 ottobre e relativo al secondo trimestre 2023, riporta che, in ambito civile, sono pendenti in Italia 2.715.423 procedimenti, di cui 2.408.456 della cosiddetta “area Sicid” (contenziosi di lavoro, famiglia e volontaria giurisdizione) e 342.697 tra esecuzioni e fallimenti. Il dato è leggermente in calo (-3,7% complessivo, -3,3% per l’area Sicid e addirittura -7% per esecuzioni e fallimenti), rispetto alla precedente rilevazione, e già nel primo trimestre l’arretrato civile era diminuito dell’1% in Corte di Cassazione e del 4% in Corte d’appello e in Tribunale.
Italia all’ultimo posto nell’ Ue
È però evidente come l’arretrato pesi ancora in maniera significativa sulla giustizia.
Anche perché i procedimenti presi in considerazione sono solo quelli non risolti entro i termini di “ragionevole durata” previsti dalla legge.
Che già di per sé non sono immediati: 3 anni per il primo grado, 2 per l’appello, 1 anno per la Cassazione. E, del resto, già nel 2020 (su dati 2018), il rapporto della Commissione per l’efficacia della giustizia del Consiglio d’Europa ribadiva come l’Italia fosse all’ultimo posto tra i Paesi europei per i tempi delle controversie civili, con la definizione del procedimento mediamente in 588 giorni in primo grado e 654 in secondo.
Alberto Minazzi