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"Casi Covid": chi sono e come potrebbero cambiare

"Casi Covid": chi sono e come potrebbero cambiare

La richiesta delle Regioni sul ripensamento della definizione di “casi” Covid potrebbe essere parzialmente accolta dal Governo.
In attesa del Dpcm che chiarirà meglio le eccezioni all’obbligo di Green Pass, alcune indiscrezioni rivelano che i pazienti ricoverati in ospedale per cause diverse dal Covid che risultino positivi al tampone pur essendo asintomatici, potrebbero non rientrare tra i ricoveri tenuti in considerazione per il raggiungimento delle soglie di occupazione fissate per l’attribuzione della fascia colorata.
Il Ministero, che è in fase di interlocuzione con le regioni, di fatto ancora non ha disposto alcun atto formale e dovrà tener conto anche della “frenata” dell’Istituto Superiore di Sanità.
L’importanza di monitorare i casi attraverso la sorveglianza non va confusa con i criteri con cui si decidono le indicazioni per casi e contatti” ha spiegato l’Iss sul suo sito ufficiale.

La definizione di “caso” dell’Ecdc: i criteri clinici

Il punto di partenza da cui muove la richiesta delle Regioni è la definizione del caso di malattia da Covid-19 pubblicata dall’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, agenzia dell’Unione Europea.
Una definizione, in vigore dal 3 dicembre 2020, che indica 4 criteri da tenere in considerazione.
I primi sono di tipo clinico: è caso “qualsiasi persona con sintomi di tosse, febbre, fiato corto, insorgenza improvvisa di anosmia (perdita dell’olfatto, ndr), ageusia (perdita del gusto, ndr) o disgeusia (distorsione o abbassamento del gusto, ndr)”. Tra gli altri sintomi meno specifici possono rientrare mal di testa, brividi, dolore muscolare, affaticamento, vomito e/o diarrea.
Ancora, legato alla diagnostica per immagini, è caso chi ha “evidenze radiologiche che mostrano lesioni compatibili con il Covid-19”.

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E’ ancora caso Covid chi, in un campione clinico, quindi in un tampone, presenta “acido nucleico o antigene del Sars-CoV-2 ”. L’Ecdc precisa che “il test antigenico rapido deve essere eseguito entro 5 giorni dall’esordio dei sintomi o entro 7 giorni dal momento dell’esposizione”.
Infine, vengono indicati criteri epidemiologici come un “contatto stretto con un caso confermato di Covid-19 nei 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi e/o essere stato residente o membro del personale, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi, in un istituto residenziale per persone vulnerabili dove è stata confermata la trasmissione in corso di Covid-19”.

La classificazione dei casi

Da questi criteri, discende la classificazione dei casi.
L’Ecdc definisce così “caso possibile” “qualsiasi persona che soddisfi i criteri clinici”.
Caso probabile” è invece “qualsiasi persona che soddisfi i criteri clinici con un collegamento epidemiologico oppure qualsiasi persona che soddisfi i criteri di imaging diagnostico”.
E “caso confermato” è quello relativo a “qualsiasi persona che soddisfi il criterio di laboratorio”.
“In un’ottica di ritorno alla normalità dopo la fine dell’emergenza pandemica – commenta l’Iss in una Faq – l’Ecdc ha suggerito in un documento del 18 ottobre 2021 una futura transizione a un sistema di sorveglianza sindromico, simile a quello che si usa attualmente per l’influenza”. Ma, al tempo stesso, le definizioni di “caso” ai fini della sorveglianza epidemiologica al momento restano immutate.

La posizione dell’Istituto Superiore della Sanità

Questo perché “l’infezione da Sars-CoV-2 – si legge nelle faq dell’Iss – dà una sintomatologia variegata e in evoluzione anche per la comparsa di nuove varianti virali. L’esperienza ha dimostrato inoltre che la maggior parte delle infezioni, in particolare nei soggetti vaccinati, decorre in maniera asintomatica o con sintomatologia molto sfumata. Non sorvegliare questi casi – continua l’Iss -limiterbbe la nostra capacità di identificare le varianti emergenti, le loro caratteristiche e non potremmo conoscere lo stato clinico che consegue all’infezione nelle diverse popolazioni”.
I rischi di non poter monitorare l’andamento della circolazione del virus nel tempo sono quelli di peggiorare la “capacità di mantenere adeguati livelli di assistenza sanitaria”.

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Verso il nuovo Dpcm

Sulla base di queste considerazioni e sulle ragioni portate dalle regioni, dovrà ora decidere il Governo, che potrebbe inoltre già nelle prossime ore licenziare il Dpcm che prevede le eccezioni all’obbligo di Green Pass in vigore dal 1 febbraio.
Un provvedimento, già previsto dall’ultimo decreto legge, la cui scadenza è fissata al 22 gennaio, cioè 15 giorni dall’entrata in vigore del decreto.
L’elenco contenuto nel Dpcm metterà nero su bianco i servizi ritenuti necessari per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona, che giustificano dunque l’eccezione. Si parla di supermercati, uffici pubblici, negozi di alimentari, farmacie, medici di base, ospedali, veterinari, edicole e tabaccai, presentazione di denunce se si è vittime di reato. Il Green Pass base servirà invece per le poste, le banche e gli altri negozi, così come, già dal 20 gennaio, per recarsi da parrucchieri, barbieri ed estetisti. Tra le questioni aperte, quelle degli studi dentistici e dei centri commerciali.

Alberto Minazzi

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