Inviata una lettera al premier e al ministro dell’Ambiente per ottenere sconti a favore dei residenti dei comuni in cui ci sono le centrali a carbone
In Basilicata per l’estrazione di idrocarburi, in Puglia per il posizionamento di infrastrutture strategiche per il sistema energetico nazionale (come il collegamento al gasdotto Tap), a Piombino e Ravenna per i rigassificatori galleggianti.
Sono diverse, in Italia, le realtà locali i cui cittadini possono godere di bollette più leggere grazie alle compensazioni energetiche riconosciute dal Governo per l’impatto delle infrastrutture sul territorio.
Adesso che, per fronteggiare la crisi energetica, anche le centrali a carbone sono tornate d’attualità, con la marcia indietro del Governo sulla strategia energetica che aveva previsto finora un loro ridimensionamento, anche le Amministrazioni dei 7 comuni su cui esse gravano hanno chiesto all’Esecutivo di poter usufruire dello stesso trattamento.
La lettera
La proposta è stata lanciata da Ernesto Tedesco, sindaco di Civitavecchia, sul cui territorio sorge l’impianto di Torrevaldaliga, che ha coinvolto i primi cittadini di Sassari (Gian Vittorio Campus) per l’impianto di Fiumesanto, Brindisi (Riccardo Rossi), La Spezia (Pierluigi Peracchini), Monfalcone (Anna Maria Cisint), Portoscuso (Ignazio Salvatore Atzori) e Venezia (Luigi Brugnaro), che ospita la centrale di Fusina.
È stata così inviata al Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, una lettera in cui si chiede la riduzione delle bollette e altre misure di compensazione per i residenti in aree sottoposte a emissioni inquinanti.
I disagi per la popolazione e il caro bollette
Nel documento si citano espressamente i ‘”noti disagi e le ripercussioni che questi impianti determinano per la popolazione e i territori interessati”. E non sono sufficienti, aggiungono i sindaci, le più aggiornate misure tecnologiche di mitigazione, che “riducono solo in parte le conseguenze dovute alla manipolazione, allo stoccaggio e all’impiego del carbone di ordine ambientale, sanitario, urbanistico e sociale”.
La maggior produzione delle centrali a carbone, legata a un interesse di carattere nazionale e generale, “non può diventare un fattore di maggiore penalizzazione per alcuni territori, come i nostri, che si trovano a essere gravati dalle relative pesanti conseguenze di carattere ambientale e sanitario”.
In tal senso viene definito dai primi cittadini “impegno comune” quello di ridurre in particolare le bollette energetiche per i residenti.
Il ritorno al carbone
Nella conferenza di Glasgow del 2021, l’Italia si era impegnata, dando seguito alla decisione del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima del 2019, a non far più ricorso al carbone, eliminando entro il 2025 le centrali e riconvertendo a gas in particolare quelle di La Spezia, Fusina, Civitavecchia e Brindisi.
Per Portoscuso, il progetto era invece di trasformare entro il 2030 la struttura in un sito di produzione e accumulo di energia prodotta con fonti rinnovabili.
Con l’intensificarsi della crisi russo-ucraina, il ripensamento.
Se, all’inizio di quell’anno, la produzione degli impianti a carbone copriva il 4,9% del fabbisogno energetico nazionale, già a fine 2021 sono stati così riattivati due impianti.
Come si legge sul sito del GSE, attualmente poco più del 6% dell’elettricità usata in Italia è prodotto col carbone, percentuale che si è praticamente dimezzata negli ultimi 10 anni.
A gestire 5 dei 7 impianti è Enel, mentre A2A si occupa di quello di Monfalcone e il gruppo ceco Eph di Fiumesanto.
Alberto Minazzi