Internazionalizzazione e interdisciplinarietà. Volendo cercare (solo) 2 parole chiave in quello che sarà il futuro prossimo di Ca’ Foscari, la scelta è obbligata.
Con l’elezione di Tiziana Lippiello, 23° rettore e prima rettrice dell’Università veneziana, sarà infatti posto ancor più l’accento sull’opera portata avanti dalla stessa Lippiello nella cura dei rapporti internazionali dell’ateneo negli ultimi anni. E c’è già un esempio concreto:
«Stiamo sperimentando una novità unica in Italia, introducendo lo studio del cinese all’interno dei corsi legati alle nanoteconologie. Coniugare scienza e tecnologia con lo studio di questa lingua può diventare un’opportunità importante su cui gli studenti possono investire per il loro futuro, perché in Cina c’è un grande interesse nei confronti del nostro Paese. Nei confronti della Cina, possiamo essere più competitivi di quanto già siamo, all’interno del panorama europeo. Perché la Germania resta il loro principale interlocutore nel Vecchio continente. Ma noi abbiamo qualcosa che affascina i Cinesi: l’antichità della cultura e dell’arte».
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È tutta un’altra storia, rettrice Lippiello, da quando lei era una studentessa di cinese…
«Ai miei tempi, la mia poteva sembrare una scelta elitaria, un capriccio culturale senza sbocchi lavorativi. Eravamo in pochi, in effetti, a studiare il cinese, che oggi è invece una delle lingue più studiate. Ma va detto che già a fine degli anni Ottanta, in Cina, iniziavano le prime aperture verso l’Occidente».
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Negli anni, anche Ca’ Foscari ha consolidato le posizioni di vertice nelle classifiche internazionali. Quali sono i punti di forza?
«Questa università ha sempre avuto una elevata propensione all’internazionalizzazione. Lo dicono per primi gli studenti, ai quali vengono offerte grandi opportunità di fare esperienze internazionali. E, oltre all’Ufficio relazioni internazionali, adesso possiamo contare su una struttura dedicata all’internazionalizzazione, oltre che a corsi di formazione dedicati, sia in italiano che in inglese».
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Cosa significa, concretamente, puntare maggiormente sull’internazionalizzazione?
«Innanzitutto consolidare partnership strategiche, a partire da quelle nate in questi ultimi 6 anni, sia in Europa che al di fuori. In più intendiamo valorizzare l’Italia, la cultura italiana e il Made in Italy lavorando con Università straniere che hanno dipartimenti di italianistica. Questo significa infatti un interesse più genuino e studenti più motivati».
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Internazionalizzazione è sinonimo di apertura. Come conciliarla con le chiusure legate al Covid?
«Credo che gli attuali limiti possano essere al tempo stesso una grande opportunità. Essendo tutti un po’ bloccati, bisogna inventare nuove forme di partnership internazionale, con uno scambio di moduli e stage online. La chiave di volta deve essere la proattività. Bisogna offrire idee nuove all’internazionalizzazione, puntare su scelte strategiche».
Intanto, a Ca’ Foscari, dal 1 ottobre è arrivato il momento della svolta “in rosa”. Cosa può dare all’Università e com’è partita questa nuova avventura?
«A livello personale, sono ancora un po’ frastornata, ma felicissima, perché non era un risultato scontato. Il primo giorno, oltre a concedermi alle interviste di rito, ho voluto incontrare personale e dirigenti e poi iniziare a pianificare il lavoro con la segreteria. Cosa posso dare? Per mia natura, pongo grande attenzione alle relazioni e credo di avere una particolare sensibilità verso i giovani e una certa attitudine di ascolto e sintesi».
A proposito di giovani, un tema caldo è quello della residenzialità: come vi state muovendo?
«Con Iuav, Conservatorio e Accademia abbiamo fondato il consorzio Study in Venice, che sta funzionando bene per la promozione internazionale. Insieme al Comune e alle associazioni di proprietari, stiamo stipulando una convenzione per le locazioni di appartamenti turistici sfitti agli studenti e ai dipendenti. Siamo già al lavoro e a breve, entro fine anno, dovremmo essere operativi. Credo che sia un modo utile per attirare a Venezia da tutto il mondo giovani e docenti. Sono in molti quelli che vengono qui per il loro anno sabbatico e alcuni pensano seriamente di stabilirsi».
Ca’ Foscari è anche un brand: su cosa punta il vostro merchandising?
«Abbiamo la fortuna di essere in una città unica al mondo ed è un punto di partenza che gioca a nostro favore. Bisogna però consolidare sempre più la forza di Ca’ Foscari nei rapporti con la città e con le imprese, a partire da quelle del Veneto. La collaborazione con le istituzioni può avvenire a più livelli: dai progetti di ricerca e formazione rivolti alle istituzioni stesse, ai progetti didattici di interesse per il territorio. In questo sistema, dobbiamo riuscire ad offrirci e presentarci come una fucina d’idee».
Un esempio concreto?
«Quasi tutto il nostro ateneo è coinvolto nel progetto “Environmental humanities”, in cui gli studi hanno un particolare focus sull’ambiente. Perché, nel mondo, Venezia, rimasta immutata nei secoli, è considerata un modello di sostenibilità ambientale».
Tutto ciò conferma la bontà di puntare sulla ricerca, uno dei punti di forza degli ultimi anni di Ca’ Foscari?
«Dobbiamo essere capaci prima di tutto di fare una sintesi interna, valorizzando le ricerche di tutti i nostri docenti e portarne i risultati sul territorio, per far sì che possano produrre importanti ricadute, anche in una prospettiva più ampia. Tutto questo passa anche nella proposizione di sempre nuovi corsi di laurea, sempre più interdisciplinari, su cui continuiamo a lavorare».
Non ha quindi più senso parlare della tradizionale distinzione tra discipline scientifiche e umanistiche?
«L’integrazione tra le varie discipline, tra cultura e area umanistica da un lato, discipline scientifiche, economiche e innovazioni tecnologiche dall’altro, noi la stiamo già facendo. In tal senso, abbiamo la fortuna di essere un’Università media, in cui sono più facili le interconnessioni tra dipartimenti. La vera sfida è quella di abbattere definitivamente i muri tradizionali tra diverse aree del sapere».
Ma che valore ha, oggi, l’Università?
«In Italia dovrebbe avere un valore più profondo e più importante, come avviene nel resto del mondo. Non deve essere vista solo come una formazione elitaria, ma ricordare che, oltre ai leader, forma prima di tutto i cittadini del futuro. In questo, sono convinta che Venezia possa diventare una grande capitale universitaria, sul modello di Oxford e Cambridge. In una città d’arte come Venezia, l’Università deve riuscire ad essere il polo che aggrega le istituzione con l’arte stessa».
Le sue due figlie, però, hanno scelto Trieste per i loro studi universitari. Per di più scientifici…
«Sono entrambe molto autonome e indipendenti e ritengo che sia un bene. E non trovo una contraddizione nemmeno il fatto che non abbiano scelto discipline umanistiche. Così come loro, in questa mia nuova avventura, mi hanno spinto verso il traguardo, così io sono contenta delle loro scelte. Dico di più: non avrei voluto che scegliessero il mio percorso e la mia università. Anche perché può essere interessante confrontare il mio e il loro ateneo».
Ma se dovesse raccontare Ca’ Foscari e il suo mondo a un amico straniero, su cosa punterebbe?
«Prima di tutto racconterei cos’è, cosa si studia, quali sono gli ambiti di studio e come dalle sue origini sia radicata in città. Perché ne ha seguito la vocazione internazionale, e le vie commerciali aperte fin dai tempi di Marco Polo, investendo al tempo stesso sul tessuto locale».