Sono i campioni d’Italia ancora in carica. E non hanno intenzione di mollare.
Conoscono le difficoltà più di altri atleti, ma sanno bene che è possibile superare ogni ostacolo.
L’hanno imparato dalla vita e ne hanno avuto consapevolezza con lo sport.
Ora lo dicono ai giovani come loro, a quelli che non hanno disabilità da affrontare ma che spesso non credono abbastanza in se stessi.
Non è così per i Black Lions, i Campioni d’Italia di hockey su sedia a rotelle impegnati anche nelle scuole per diffondere un messaggio di speranza e di volontà.
“In Italia sono circa 300 gli atleti che praticano il Wheelchair Hockey – ha spiegato ai ragazzi dell’Istituto Berna di Mestre Sauro Corò, ex capitano e ora allenatore dei Black Lions- Sono uomini e donne di ogni età e con disabilità diverse, ma che in campo sono tutte uguali. La disabilità è spesso più nella mente che nel fisico”
A testimoniare la loro esperienza, accanto all’ex capitano, sono Alessandro e Manuel. Sorridenti, sereni, coraggiosi. Questo sport ha permesso loro di sognare di nuovo, di avere ancora degli obiettivi che grazie alla grande determinazione sono riusciti a portare a termine.
Alessandro a breve otterrà la laurea in psicologia mentre Manuel, dopo aver fatto in solitaria un viaggio in auto fino a Capo Nord, desidera provare ancora emozioni forti. Ama infatti cimentarsi in numerose discipline sportive, anche molto difficili e avventurose.
“L’hockey – affermano con convinzione – ci ha aiutato molto rendendoci più sicuri e soprattutto ci ha messo in contatto con il resto del mondo. Perché lo sport è vita, divertimento, condivisione. Una vita che vale la pena affrontare con coraggio e determinazione soprattutto nei momenti più difficili”.
Di momenti difficili, anche fisicamente, ce ne sono stati tanti. Ma i Black Lions hanno raggiunto altissimi livelli e sono diventati grandi amici. Sanno bene che il contributo di ciascuno è indispensabile per la buona riuscita del gioco.
Nell’hockey si giocano 4 tempi effettivi come nel basket, dal quale si prende spunto anche per gli schemi di gioco. Di ciascun atleta viene valutato l’impairment, non la disabilità, con un punteggio che va da 1 a 5,5. Il totale dei giocatori in campo deve fare 11,5. In questo modo le squadre risultano equilibrate. Si gioca in 5 contro 5 e ogni giocatore ha un ruolo diverso. C’è chi usa la mazza, e chi invece non riesce ad avere sufficiente forza nelle braccia per poterla utilizzare, ma poco importa: se si è affetti da gravi limitazioni agli arti c’è lo stick, che permette comunque di partecipare alle diverse azioni con decisione ed impegno.
“La nostra squadra – dice entusiasta il coach Corò – è nata nel 2011 e in pochissimi anni è riuscita a raggiungere eccellenti risultati. Uno scudetto – afferma orgoglioso – arrivato nello stesso anno della Reyer con la quale tra l’altro, dovremo stringere presto un gemellaggio”.