Le linee guida per produrre la Pilsener nostrana entrano nella guida dei piccoli birrai americani, mentre continuano a crescere i produttori artigiani
L’origine è tedesca; ma la creatività italiana l’ha innovata, aggiungendo alla tradizione europea una serie di luppoli nobili a secco che hanno portato alla nascita di un prodotto originale con un suo stile unico.
Parliamo della birra “Pilsener in stile italiano”, partita dalle nostre regioni settentrionali e che è stata ora inserita con una scheda dedicata dalla Brewers Association, l’associazione dei piccoli birrai indipendenti americani, nella guida 2024 sulle “Linee guida sugli stili di birra”, aggiornata annualmente dal 1979 a oggi.
Un riconoscimento che testimonia ancora una volta come questa bevanda sia sempre diffusa e apprezzata anche nel nostro Paese. Non a caso, l’analisi del Consorzio Birra Italiana evidenzia che, accanto ai grandi produttori industriali, la filiera della birra artigianale ha raggiunto ormai quasi quota 1.200 birrifici, quando nel 2008 erano poco più di 230.
Le caratteristiche della “birra lager” italiana
La Pilsener italiana viene descritta come una birra lager, cioè a bassa fermentazione, leggera e rinfrescante.
L’aggiunta dei luppoli nobili le conferisce un aroma più delicato se confrontato a quelli fruttati e tropicali che caratterizzano le birre American Opa o West Coast Ipa.
Per rientrare nella categoria specifica, che sarà riconosciuta anche nella World Beer Cup 2025 (la cui cerimonia di premiazione è fissata per il 1° maggio), dovranno essere rispettate le caratteristiche che sono state definite dalla Brewers Association. Esteticamente, per esempio, il colore deve essere paglierino-oro, con un aspetto limpido senza presenza di “foschia da freddo”.
Tralasciando gli aspetti più tecnici, l’aroma e il sapore dolce e maltato “dovrebbero essere presenti a bassi livelli”, anche se “possono essere presenti leggeri attributi di biscottato”. Al contrario, l’aroma e il sapore di luppolo sono “pronunciati e aromatici” con la possibilità della presenza di “attributi floreali, erbacei, pepati o di altro tipo”.
L’amarezza percepita è così “da media a alta”, mentre il corpo “da medio-basso a medio”. Inoltre, come note aggiuntive, si precisa che “la testa dovrebbe essere densa, bianca pura e persistente” e che “il carattere del luppolo è deciso, fresco e aromatico”.
I numeri della birra artigianale in Italia
Sul tema, in occasione della “Giornata nazionale del luppolo italiano”, Coldiretti ha dedicato un approfondimento al fenomeno della produzione di birra artigianale in Italia. I quantitativi hanno raggiunto i 48 milioni di litri, di cui quasi 3 milioni destinati all’export, per un valore che supera i 430 milioni di euro sul mercato del “fuori casa” e una ricaduta lavorativa di 92 mila posti tra addetti diretti e indiretti.
Circa un quarto dei birrifici, poi, produce da sé le materie prime necessarie, anche se il malto d’orzo viene ancora importato per il 65%. In tal senso, in Sardegna, con modello replicabile in altre regioni, è stato avviato il primo progetto di filiera della birra, coinvolgendo 20 birrifici locali, un produttore di luppolo e una cooperativa di produttori di cereali. E poi cresce il fenomeno del “birraturismo”, nuova frontiera del turismo esperienziale, che ha coinvolto, tra eventi e birrifici, quasi 1 viaggiatore su 5 nell’ultimo anno.
Tutto quel che c’è da sapere sulla birra artigianale
L’inizio del boom della produzione brassicola artigianale in Italia si può far risalire alla seconda metà degli anni 2000. Fermo restando che non sempre “artigianale” è sinonimo di “qualità”, è dal 2016 che la legge italiana ha fissato la definizione di birra artigianale, basata sui concetti di “piccoli birrifici indipendenti” e alla non sottoposizione del prodotto a “processi di pastorizzazione e microfiltrazione”.
Si tratta di aspetti che riguardano le possibili alterazioni durante il processo produttivo. Con il primo processo si ottiene una maggior stabilità organolettica e una più lunga conservabilità, snaturando però le proteine e uccidendo i lieviti residui; con il secondo vengono raccolte le sostanze in sospensione, chiarificando la birra per soli scopi estetici, ma con svantaggi a livello organolettico.
Tra le altre caratteristiche distintive, la qualità degli ingredienti utilizzati, la produzione in quantità limitata (non oltre 200 mila ettolitri l’anno, compresi i quantitativi prodotti per conto terzi), l’indipendenza legale ed economica del produttore da altri birrifici. Il legame con il territorio non è previsto dalla legge, ma è spesso presente. Così come non si usano succedanei nella produzione di una vera birra artigianale. In primis il mais in luogo dell’orzo, impiegato dall’industria per ridurre i costi ma, spesso, dando al prodotto retrogusti sgradevoli.
Alberto Minazzi