Per la Biennale Architettura 2018, al Padiglione Venezia si costruisce una grande rete per rendere le informazioni esistenti fruibili a tutti
Non più convegni su paroloni e big data, ma concretezza. Che, tradotto, significa rielaborare e mettere a sistema, a disposizione di tutti coloro che si occupano di pianificazione territoriale, le informazioni già in mano ai singoli enti. È l’obiettivo del Comune di Venezia per la Biennale Architettura 2018.
Dal 23 maggio, al Padiglione Venezia tutto questo diventa realtà. E, grazie alla propaggine terrafermiera voluta fortemente a Forte Marghera dall’Amministrazione comunale, il lavoro svolto non si fermerà a novembre con la chiusura della Biennale, ma resterà per sempre al servizio dell’intera Città metropolitana.
«Quello dei big data è un argomento dell’oggi che disegna il domani», premettono Luca Battistella, referente istituzionale, e Stefano Quarta, direttore artistico. Il titolo riprende quello della Biennale 2016 (“Up! Marghera on stage”), a rimarcare il filo di continuità degli eventi culturali dell’Amministrazione: “Follow Up” sottintende un concetto di aggiornamento e rilancio, con il sottotitolo “Venezia condivide spazi di sapere”. «Abbiamo così declinato il titolo della Biennale di Architettura, “Free Space”, in uno spazio libero come spazio di conoscenza, e una conoscenza disponibile a tutti».
Il programma è basato sull’esperienza di Battistella come consigliere comunale delegato alla Smart City. «Spesso mi viene fatta la domanda: quanto conosci la tua città? E, tra i professionisti, si riscontrano spesso banali errori di sapere. Va data l’idea di una città che si stratifica nel tempo: abbiamo così lavorato per smontare il concetto di “Venezia-cartolina”, per fare emergere che Venezia è invece una città vera e reale. Siamo riusciti a far sì che la città condividesse la propria conoscenza e il proprio sapere: per la prima volta abbiamo riunito intorno a un tavolo le Università Ca’ Foscari e Iuav, l’Ordine degli architetti, l’Archivio storico di Stato e alcune società partecipate del Comune, tra cui Insula e Venis, che hanno messo a disposizione i propri archivi di dati, resi finalmente riutilizzabili. Tutto questo è crescita anche per noi. Abbiamo capito che ci sarà bisogno, e il Padiglione servirà a questo, di trovare figure istituzionali in grado di saper gestire, archiviare e ordinare tutto questo sapere».
«Lo scopo del padiglione – riprende Quarta – è di sviluppare cultura attorno all’utilizzo dei big data, attraverso la proposta di un nuovo sistema di fruizione. Abbiamo adottato l’impostazione del cosiddetto “modello ad acquedotto”, in cui ogni “fonte” confluisce in un punto di erogazione. L’Amministrazione si occupa di erogare e certificare il dato e della sua messa in rete per la potenziale fruizione, aggregando e rendendo disponibili i dati attraverso la realizzazione di strumenti per comunicare, gestire e pianificare la città. In questo sistema interagiscono passato, presente e futuro. Il passato nel senso di raccontare la storia della città in maniera più interessante e accattivante; il presente nel senso di realizzare uno strumento per la gestione quotidiana, che già trova molti esempi; il futuro, perché così si può pianificare lo sviluppo, attraverso tutti gli strumenti per attività di tipo urbanistico e pianificatorio». Va dunque costruito un processo virtuoso per rendere questi dati fruibili e disponibili per tutti, come strumento di conoscenza partecipata del territorio, mettendo in mostra, anche attraverso alcuni casi-esempio, le attività propedeutiche perché strumenti di questo tipo possano diventare operativi.
La visita al Padiglione è un percorso esperienziale immersivo, in cui il visitatore trova un continuo dialogo tra le due pareti dei due archi. Nella prima parete è proposto l’aspetto arcaico-analogico del sistema di produzione della cultura, cioè la stampa a caratteri mobili, passaggio decisivo nella produzione culturale in quanto ha rappresentato la produzione di senso e conoscenza. Tutto questo trova riferimento nella rappresentazione del digitale in sei pannelli con dodici casi: al dato diventato digitale vengono offerte più chances di esplicitare fino in fondo le proprie potenzialità e utilità attraverso l’aggregazione, la rielaborazione e il riutilizzo. Come per la stampa a caratteri mobili. Un settimo pannello, quello centrale, sarà dedicato al “real time”, mostrando alcuni esempi di aggregazione in corso, come, ad esempio, quante navi stanno circolando nella Laguna in quel momento o quanta gente sta cercando “Venezia” su Wikipedia. Nelle due stanze laterali saranno realizzate delle “aule didattiche”, con video che raccontano nove progetti di altrettante Università internazionali e dell’Ordine degli architetti, raccolti attraverso una call. Un’altra auletta sarà dedicata ai bambini, con laboratori a cura di Fablab Venezia, dove i più piccoli potranno interagire con il mondo dei dati attraverso esperienze di coding (programmazione informatica) o di manualità. Parte fondamentale del Padiglione Venezia sarà anche lo sviluppo di un programma intenso di workshop, seminari e incontri.
«Il visitatore, sia un ragazzo o un’impresa, entra, trova una suggestione e può portarsi a casa dei dati, con tutto il loro potenziale. L’importante è però che il dato sia certo, riconosciuto e riconducibile a chi lo ha prodotto», sottolinea Quarta. «Le parole chiave – aggiunge Luca Corsato, che si è occupato del data management – sono due: gestione della complessità e relazione tra i dati. Il mandato del sindaco è stato quello di avere uno strumento che potesse funzionare attraverso un’interrogazione geografica, cioè una mappa in cui, semplicemente appoggiando un dito, si potesse sapere tutto quello che c’è in quello specifico punto. Se mancano relazioni tra dati e competenze per gestire la complessità, i dati possono essere compresi solo attraverso le proprie capacità di interpretazione. Con il Padiglione Venezia abbiamo realizzato il primo caso di allestimento di un “data management urbano”, perché, se sono molte le rappresentazioni della prospettiva di condivisione dei dati, altrove si tratta solo di modelli. Qui, invece, i dati ci sono e gli accordi tra i soggetti sono già stati posti, riducendo al minimo le difficoltà di usare i dati degli altri».
L’architettura è dunque il punto di partenza, ma si va oltre. «Perché il dato è importante per una Biennale Architettura?” si chiede Nicola Picco, segretario dell’Ordine degli Architetti e presidente di Insula. “Perché c’è l’interesse comune di sviluppare territorio e qualità. E gli architetti partecipano lanciando ai colleghi una call in cui si chiede loro di di mappare luoghi e spazi di possibile recupero e rigenerazione. Spazi aperti, liberi, spazi di vita per generare nuove opportunità di cultura e relazioni sociali, virando in particolare sugli spazi pubblici».
Come disse Leonardo da Vinci: “L’acqua che tocchi de’ fiumi è la prima di quella che viene e l’ultima di quella che va”. Così è la vita. E così sono i dati.
A Forte Marghera il “Data Urban Center” della Città metropolitana
Una Biennale che vada oltre la Biennale, lasciando un’eredità importante al territorio. Il grande lavoro svolto sui big data per il Padiglione Venezia potrà contare, per raggiungere pubblici più vasti (e non solo durante i sei mesi della Biennale Architettura), su una sezione a Forte Marghera. In terraferma, dove sarà costituito il Data Urban Center della Città Metropolitana, saranno infatti raccolte una serie di informazioni comuni da utilizzare per lo sviluppo urbanistico, attraverso i cosiddetti “open data”.
«L’idea – spiega Luca Battistella – è di creare un luogo, a cui le Amministrazioni possano fare riferimento, dove mettere a disposizione tutti i dati pubblici (produzione, urbanistica, anagrafe), rendendoli visibili anche dal punto di vista grafico. Stiamo costruendo la Città metropolitana attraverso iniziative come questa: tutti pezzi che contribuiscono a costruire un “comune sentire”, da poter toccare con mano, tramite una connessione che non passi solo attraverso la realizzazione di strade fisicamente intese, ma anche per canali di dati condivisi».