Insieme all’evoluzione degli accumulatori al litio, la ricerca punta anche sul sodio
È sufficiente aprire la credenza di una qualsivoglia casa per trovare almeno una confezione di sale da cucina. Ovvero, chimicamente parlando di cloruro di sodio.
Ma basta anche aprire una finestra in riva al mare e respirare a fondo per fare il pieno, tra l’altro, di sodio.
Due semplici esempi di vita quotidiana che ci dicono quanto sia comune questo elemento chimico.
Probabilmente, però, in pochi sanno che proprio il sodio potrebbe, in un futuro nemmeno troppo lontano, contribuire a quella che è lecito attendersi possa essere la richiesta sempre crescente di batterie. Affiancandosi al ben meno diffuso litio.
Sodio e litio: due soluzioni alternative
“Ovviamente – fa il punto Andrea Marchionni, ricercatore dell’Istituto di Chimica dei Composti Organometallici del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Iccom) di Firenze – c’è grande interesse da parte della ricerca sul tema dell’utilizzo del sodio in alternativa al litio nelle batterie per l’accumulo di elettricità, come del resto sulle tecnologie legate al litio stesso. Mentre il sodio è estremamente abbondante nei composti naturali – prosegue Marchionni – il litio si trova solo in giacimenti e quindi è molto localizzato”.
Le maggiori riserve di questo metallo, circa 8 milioni di tonnellate, sono attualmente quelle del Cile, mentre il Paese europeo che ne estrae di più è il Portogallo, anche se l’Unione Europea è già concentrata su almeno 9 progetti che coinvolgono anche Spagna, Germania, Austria e Repubblica Ceca.
Bisogna infatti precisare che, allo stato degli studi, le tecnologie che puntano sui due elementi chimici non si escludono reciprocamente.
“Le batterie al sodio – riprende il ricercatore – sono attualmente utilizzabili solo con uno scopo stazionario, visto che i materiali impiegati non permettono un uso a bordo di automobili o altri dispositivi in movimento”.
I problemi delle batterie al sodio
Chiaramente, una batteria al sodio, oltre al tema della disponibilità di grandi quantità del metallo e di conseguenza dei costi minori, presenta il vantaggio di uno smaltimento e un riciclo più semplice.
Se però non si è scelto di puntare esclusivamente sul sodio è perché presenta alcune problematiche di utilizzo al momento ancora irrisolte.
“Ci sono – ammette Marchionni – alcuni modelli in fase commerciale o quasi, anche se molto di nicchia, pensate per operazioni specifiche e non per una larga distribuzione”.
“Il principale problema – aggiunge il ricercatore del Cnr-Iccom – sono le dimensioni molto grandi delle batterie al sodio e questo comporta uno stress meccanico molto forte, che incide sulla durata, riducendola”.
Quando la batteria si carica, cioè, aumenta notevolmente di volume e quando si scarica, perdendo atomi di sodio, tende a diminuire di volume.
Se, poi, una batteria al litio mediamente può essere sottoposta a decine di migliaia di cicli, la letteratura scientifica dice che una al sodio può arrivare a qualche centinaio, al massimo un migliaio. La tecnologia va dunque sviluppata, anche per i limiti fisici del sodio, legati al suo peso molto maggiore rispetto al litio.
“Per portare la stessa quantità di energia – esemplifica Marchionni – occorre una massa molto maggiore ed è questo che rende la trasportabilità il principale problema”.
Verso batterie al litio più sicure e performanti
Questi limiti, ammette il ricercatore, al momento non sembrano superabili in breve termine, consentendo di ragionare su un impiego del sodio solo a terra, in attesa dei progressi della ricerca.
È anche per questo che si continuerà a puntare sul litio per l’equipaggiamento delle autovetture elettriche, destinate a soppiantare nei prossimi anni quelle spinte da un motore endotermico, come deciso anche a livello di normative europee.
“Anche sul litio – illustra Andrea Marchionni – c’è molta ricerca e sviluppo, in particolare per la sostituzione della grafite con altri materiali che permettono maggior capacità e un’alta durabilità, come lo zolfo o gli anodi di grafite con silicio. Un secondo obiettivo è la sostituzione della soluzione contenente sale di litio, utilizzata come elettrolita per la chiusura del circuito all’interno della batteria, con un elettrolita solido”.
Si tratterebbe, spiega il ricercatore, di una specie di vetro speciale di varie tipologie. “Trattandosi di un materiale solido – conclude – ne deriverebbe un notevole incremento sia in termini di sicurezza, evitando le fuoriuscite accidentali, sia nelle prestazioni, con un peso minore e la sopportazione di una velocità di carica e scarica più rapida delle attuali. Ed è una tecnologia vicina a una commercializzazione più ampia, con prospettive a medio termine”.
Alberto Minazzi