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Batteri e virus: conviverci o combatterli?

Batteri e virus: conviverci o combatterli?

Nel Regno Unito, realizzato un materiale di rivestimento per la plastica che uccide i microorganismi. Ma una ricerca internazionale rilancia sull’importanza anche dei microbi per la salute dell’uomo

Di cosa è fatto l’uomo? La risposta che viene per prima alla mente è sicuramente: “di cellule”. In realtà, anche se la stima di 10 a 1 fatta dal microbiologo Thomas Luckey nel 1972 è risultata eccessiva sulla base dei successivi approfondimenti, nel nostro corpo sono ancora di più i microorganismi. E non solo nel tratto intestinale, dove alberga la maggior parte dei microbi.
Nel 2016, due studiosi, un israeliano e un canadese, hanno quantificato in 30 mila miliardi le cellule e 39 mila miliardi i batteri presenti nell’organismo di un uomo tra i 20 e i 30 anni e altezza e peso nella media. Eppure, specie dopo il Covid-19 e a fronte del presentarsi di nuovi microorganismi potenzialmente in grado di far scoppiare nuove pandemie, la paura per le conseguenze di eventuali contagi è cresciuta in maniera esponenziale.

Così non sorprende che, nel Regno Unito, sia stato creato un materiale per rivestire la plastica, fonte significativa delle infezioni contratte in ospedale, che è risultato in grado di uccidere virus e batteri. Al tempo stesso, però, uno studio appena pubblicato da un gruppo internazionale e interdisciplinare invita a rivalutare l’importanza che l’ambiente complessivo, microbi compresi, riveste per l’equilibrio del fondamentale microbiota umano.

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Plastica a prova di virus

Il punto di partenza dei ricercatori dell’Università di Nottingham, nel Regno Unito, è stata la cosiddetta nitrurazione al plasma: una tecnica consolidata di modifica delle superfici, per aumentarne la durezza e la resistenza all’usura utilizzata in particolare sui metalli. Anche perché, finora, tale trattamento è stato raramente utilizzato per le superfici polimeriche, come quelle delle plastiche, non conferendo loro le stesse proprietà di resistenza all’usura riscontrate nei metalli.

“Il processo – spiega lo studio – normalmente richiede temperature estreme per modificare le superfici in acciaio”. Si è provato allora ad applicare la nitrurazione a plastiche termicamente sensibili, puntando sul fatto che, tra gli effetti della nitrurazione, c’è anche quello di migliorare l’adesione delle cellule per incorporare al materiale nuove proprietà. Lo strato di rivestimento in nitruro funge infatti da superficie funzionalizzata per attaccare sostanze come i biocidi.

Nello specifico, è stata utilizzata la clorexidina: biocida ad ampio spettro solitamente usato dai dentisti, attivo per uccidere vari organismi, compresi i patogeni opportunisti responsabili di malattie: batteri Gram-positivi e Gram-negativi, funghi patogeni e virus con involucro, stafilococco Mrsa e Sars-CoV-2. Sul materiale si sono sviluppate così forti proprietà antimicrobiche, senza alterarne la macrostruttura, ma intervenendo sull’idrofobicità della superficie.

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“Questo è fondamentale per le interazioni batteriche, poiché può ridurre l’attaccamento batterico”, sottolinea lo studio. Che conclude: “Riteniamo che la tecnologia sia ampiamente applicabile per prevenire la diffusione dell’infezione da fomite”, cioè la trasmissione di una malattia infettiva tramite un oggetto inanimato contaminato per l’esposizione a microorganismi patogeni. Dopo 45′ dall’uccisione dei microbi, le superfici trattate risultavano infatti ancora libere.

La rivalutazione dei microbi

Eppure i tanto temuti microbi sono al tempo stesso una componente fondamentale nell’equilibrio tra l’uomo e l’ambiente in cui vive, incidendo anche positivamente ai fini della salute. Gli autori dello studio pubblicato sulla rivista Pnas sottolineano infatti uno degli effetti negativi dell’urbanizzazione: “Il nostro attuale ambiente urbano – scrivono – ci isola sempre più dai microbi degli ambienti naturali, tra cui solo pochissimi, meno dello 0,00001%, sono patogeni per l’uomo”.

Dalla sempre crescente separazione dell’uomo dall’ecosistema naturale, a partire dalla sua componente microscopica, che ha alterato profondamente la circolazione dei microbi all’interno delle comunità umane e tra uomo, animali e piante, è derivato così, come effetto collaterale secondo i ricercatori, un impatto sostanziale sul benessere fisico e mentale degli esseri umani, favorendo per esempio la diffusione di malattie croniche come diabete, allergie e sindromi respiratorie.

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“L’invenzione dell’ambiente urbano – si afferma – ha aumentato la nostra aspettativa di vita, ma ha allo stesso tempo creato le condizioni per diverse malattie rendendo disponibili nuove nicchie per vettori di infezioni e agenti patogeni, concentrando materiali tossici e rifiuti e riducendo la ventilazione e l’esposizione alla luce solare”. L’eliminazione delle condizioni per il mantenimento di questa biodiversità può insomma tradursi in seri rischi per la salute.

La chiave del meccanismo si chiama microbiota, cioè il ricchissimo insieme di microorganismi, diversi tra loro e presenti tanto a livello intestinale quanto a livello orale e cutaneo, per il quale il nostro organismo funge da ecosistema ospitante. Un mondo invisibile che, come è stato dimostrato da molti studi, a sua volta influisce su vari aspetti centrali per la nostra salute: dal sistema immunitario alla salute mentale, fino a emozioni, pensieri e comportamento.

Alberto Minazzi

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