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Autismo: nei geni la possibilità di prevederlo

Autismo: nei geni la possibilità di prevederlo

I risultati di uno studio statunitense aprono alla possibilità di un trattamento precoce del diffuso disturbo cerebrale

In Italia, 1 bambino su 77 è affetto da autismo, cioè dal disturbo dello sviluppo neurologico che influenza il modo in cui una persona interagisce e comunica con gli altri.
In realtà, è più corretto parlare di “disturbi dello spettro autistico”, perché a diversi livelli di compromissione delle diverse aree del cervello corrispondono quadri diversi, che possono coinvolgere linguaggio, comunicazione e interazione sociale, con interessi ristretti, movimenti stereotipati e comportamenti ripetitivi.

Ad accomunare tutte queste forme di autismo, che fu diagnosticato per la prima volta nel 1933 negli Stati Uniti, è comunque il fatto che, anche se alcuni bambini che ne sono affetti ne mostrano segni fin dalla nascita, i sintomi veri e propri iniziano a comparire non prima dei 18 mesi di vita, a volte addirittura a 3 anni di età o comunque fino a quando le richieste dell’ambiente non superano le loro capacità. E questo ritarda tanto la diagnosi, quanto la possibilità di un trattamento precoce.

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Un limite che adesso potrebbe essere superato grazie ai risultati ottenuti da un gruppo di ricercatori della Virginia University al termine di uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances.
Il nuovo approccio sperimentato dal team co-diretto da Gustavo K. Rohde è incentrato sulle alterazioni genetiche e sulla morfologia del cervello: fattori di rischio, insieme a quelli ambientali, riconosciuti alla base dell’autismo.

I marcatori genetici dell’autismo

Il punto di partenza dello studio è stato la mappatura del cervello di un gruppo di soggetti partecipanti al Simons Variation in Individual Project utilizzando una risonanza magnetica.
Le immagini ottenute sono state quindi analizzate dall’intelligenza artificiale, per rilevare i movimenti di proteine, nutrienti e altri processi legati al disturbo. Vi sono infatti differenze genetiche già note per la loro capacità di influenzare la morfologia del cervello, aumentando il rischio di autismo.

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Uno di questi fattori genetici che può avere un ruolo nel disturbo sono le cosiddette delezioni o duplicazioni di sequenze genetiche. In altri termini, in chi soffre di autismo è più elevata la probabilità di presentare una diminuzione o un aumento di copie di queste sequenze genetiche nel dna rispetto a quante se ne presentano in chi non soffre di un disturbo di questo tipo. Gli scienziati si sono in particolare concentrati su una regione del cromosoma 16, la cui funzione resta ancora in gran parte sconosciuta.

Proprio questa regione è ritenuta infatti una delle cause genetiche più diffuse del disturbo.
E, per la prima volta, utilizzando la tecnica sperimentale, è stato possibile decifrare il codice genetico dell’autismo, identificandone con una precisione tra l’89% e il 95% i marcatori genetici in base all’attività biologica nel cervello. “Abbiamo scoperto – spiegano i ricercatori – che le variazioni del numero di copie ripetute del dna della regione si associano in quasi il 100% dei casi a variazioni strutturali del cervello”.

La nuova metodologia e le prospettive

Se era già noto che alcune variazioni biologiche della struttura cerebrale associate a delezioni e duplicazioni sono legate all’autismo, la nuova tecnica di modellazione matematica computerizzata generativa, chiamata morfometria, ha consentito ora di associare queste variazioni a livello di dna a particolarità strutturali e funzionali della morfologia del cervello dei pazienti autistici, ovvero alla differente disposizione al suo interno di diversi tessuti cerebrali, come la materia grigia e la materia bianca.

Riguardo, per esempio, alle alterazioni del volume della corteccia cerebrale, chi presenta delezioni ha mostrato anche una crescita eccessiva del tessuto cerebrale, al contrario risultata ridotta in chi ha duplicazioni. E le aree più colpite, spiegano i ricercatori, sono risultate quelle legate all’elaborazione emotiva, alle capacità visivo-spaziali, all’integrazione multisensoriale e al linguaggio, in linea con quelli che sono i principali disturbi comportamentali dello spettro autistico.

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In particolare, sottolinea lo studio, il nuovo metodo ha consentito di rilevare le variazioni genetiche basandosi esclusivamente sull’imaging cerebrale, partendo dunque da un modello basato sulla biologia ed evitando così l’interferenza di altre variazioni genetiche da cui non derivano disturbi neurologici. In tal modo, l’individuazione, la diagnosi, la classificazione e l’ applicazione precoce da parte dei medici di trattamenti opportuni ai casi di possibile autismo potrebbero essere in futuro possibili senza la necessità di attendere segnali comportamentali.

Alberto Minazzi

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