Maria Roveran, la passione per la recitazione. Da Favaro Veneto ai grandi set
La passione è arrivata quasi per caso; ma poi per Maria Roveran, giovane attrice di Favaro Veneto, recitare è diventato davvero un modo di comunicare e conoscere se stessa, che non l’ha più abbandonata e che riesce ad infondere nei personaggi che ha portato sul grande schermo. «Per quanto riguarda gli attori, ci sono due categorie: quelli che hanno il sacro fuoco dentro sin da piccoli e quelli che scoprono questa passione per caso. Io faccio parte di quest’ultima categoria» conferma la giovane attrice, che poi spiega: «Per 12 anni ho fatto parte degli scout e un giorno ci hanno parlato di un progetto: un gruppo teatro di integrazione sociale, per aiutare ragazzi che arrivavano da famiglie disagiate. È così che ho cominciato. Poi c’era un gruppo simile a Belluno, che aveva bisogno di una ragazza per mettere in scena un musical: ho collaborato con loro e abbiamo partecipato anche ad alcuni festival e naturalmente è stato molto coinvolgente».
Per Maria, la recitazione ha avuto importanti riflessi anche a livello personale. «Devo dire che non attraversavo un bel periodo, non stavo bene con me stessa, e la recitazione mi ha aiutato a pormi delle domande, a relazionarmi con gli altri. Non c’era però ancora l’idea di farne un mestiere. Anche qui gli sviluppi arrivano senza troppa pianificazione. Studiavo fisica all’Università di Trieste ma non ero contenta, così ho provato a fare domanda per il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. C’è gente che ci lavora un anno per preparare il provino, io ci ho messo meno di un mese e onestamente non avrei mai pensato di poter essere scelta, tanto che non lo dissi nemmeno ai miei genitori, che infatti poi si arrabbiarono».
Un continuo crescendo, insomma… «A Roma sono stati tre anni davvero tosti, ma anche in quel momento non pensavo di poterne fare una professione. Avevo vinto una borsa di studio e pensavo di trasferirmi a Shanghai. Poi Alessandro Rossetto, un regista strepitoso, mi ha scelto come protagonista per il film “Piccola Patria”, che è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e da quel momento non mi sono più fermata: teatro, cinema, musica, esperienze importanti, stressanti, ma che ti danno moltissimo». Ecco quindi “La foresta di ghiaccio” di Claudio Noce, a fianco di Emir Kusturica, “Questi giorni” di Giuseppe Piccioni e, a teatro, “L’opera da tre soldi” di Brecht al Piccolo di Milano.
Il segreto del successo? «Ti deve piacere la ricerca nel processo di creare il personaggio, altrimenti tutto diventa sterile. Devi amare tutti i tuoi personaggi, anche il più antipatico. All’inizio ho sempre avuto personaggi sofferenti, in crisi, magari anche per una certa conformazione fisica; ma ora sto scoprendo anche altri tratti, più trasgressivi, un po’ “cazzari”. Non mi dispiace affatto fare emergere alcuni lati “piacevolmente leggeri”».
Ma le sfide, per Maria Roveran, non si fermano qui. «Certo, rispetto ad un po’ di tempo fa, devo anche fare delle scelte. Recentemente, in quattro mesi ho recitato in ben quattro lavori diversi (“Resina” di Renzo Carbonera; “Beate”, esordio alla regia dell’italo iraniano Samad Zarmandili, in cui interpreta una suora; “La bambina sintetica” opera prima di Karole di Tommaso; “Capri Batterie” di Mario Martone, ndr) ed è stato davvero impegnativo, perché per ogni personaggio devi dare il 100%, devi portargli rispetto. Sei come un atleta: non puoi permetterti di fare tanto per fare, devi dare il massimo ad ognuno».