Ci sono attività imprenditoriali che chiudono. Ma molte altre che resistono. Negozi storici, che sono nei decenni diventati veri e propri punti di riferimento in città. Ognuno, con le proprie competenze e nel proprio settore, ha saputo evolvere nel tempo, rinnovandosi, mantenendo qualità e passione, tramandate per generazioni.
Metropolitano.it è andato a scovarle tra le vie di Mestre e le calli di Venezia.
Una storia veneziana iniziata con le radio balilla e con Radio Londra
“Verso le 6 di sera cominciavano ad arrivare i veri appassionati, gli amici melomani e fino all’orario di chiusura il negozio si trasformava in un cenacolo. Della lirica, soprattutto. Gaetano, mio padre, ne era un vero cultore. Si parlava e discuteva mentre si ascoltava Maria Callas o un’esecuzione di Benedetti Michelangeli”.
Simone Gabbia, terza generazione di commercianti veneziani, ricorda così gli anni gloriosi del 33 giri di classica e opera in quell’angolo di calle della bissa a Venezia, proprio di fronte alla rosticceria: mozzarelle calde e musica.
Per anni un binomio quasi obbligato, quando si andava da “Brancaleon” per l’ultima uscita di una produzione Deutsche Grammophon ma anche per quel 45 giri ascoltato a Bandiera Gialla e già un hit tra i liceali.
Dal 1990 quel negozio ha cambiato sede e nome.
Il Tempio della Musica, che non guasta nella città della Fenice, della Biennale Musica, del conservatorio Benedetto Marcello.
Eppure Simone scuote la testa e denuncia “il grande disinteresse di oggi per la Musica, quella con la emme maiuscola”.
E dire che questa storia commerciale inizia con le leggendarie radio balilla e, più di nascosto, con Radio Londra.
Dai primi grammofoni in calle della bissa al giradischi
Siamo nel 1939 e Antonio Gabbia comincia a vendere, sempre in calle della bissa, anche se da un altro lato, radio a valvole, grammofoni, dischi a 78 giri e altre diavolerie elettriche.
Poi la guerra. Con la ripresa si fa affiancare dai 5 figli, di cui 3 ragazze: tutti lì a vendere.
“Con gli anni ‘60 cresceva il benessere e si vendeva tutto quello che c’era in vetrina, un vero boom” dice Simone, ricordando i racconti del padre che, nel 1956, ebbe l’idea di aprire quel paradiso del disco che fu per tantissimi anni il negozio Brancaleon.
I veneziani compravano Beatles, Mina, Battisti e Celentano
Conosciutissimo e frequentato da tutta la città, dove peraltro, anche nei momenti di maggiore attività, la concorrenza vera era limitata ad altri due, tre negozi.
“Al di là di passioni e competenze – considera il nipote del fondatore – va anche detto che allora, a parte il calcio, la musica era uno dei pochi svaghi che la gente si concedeva. Certo, anche le canzonette, così a Venezia si andava ad ascoltarle dal giradischi dell’amico, in carbona”. E i ragazzi comperavano Beatles, Mina, Battisti, Celentano.
“Alcuni fenomeni arrivarono più avanti, come i Pink Floyd. Poi, fino ai primi anni ’80, funzionava anche il traino di Sanremo, attiravano anche i cantanti ospiti, magari stranieri”.
Oggi la realtà è ben diversa.
La passione di Simone per la musica
“Gli intenditori sono ormai davvero pochi ma sono le vendite online a far crollare il mercato del supporto, disco o cd. La svolta è attorno al Duemila”.
Discorso più generale anche se Venezia soffre forse maggiormente per una richiesta sempre più limitata che non concede nostalgie.
“Quando erano a Venezia, non mancavano mai di venirci a trovare direttori come sir John Gardiner, poi c’era l’assiduità di Bruno Tosi. Talvolta Pino Donaggio, mai invece l’altra venezianissima Patty Pravo. Aspetto ancora Elton John”.
Simone non è diverso da suo padre e suo nonno “Come loro, animato dalla passione che oggi aiuta in momento difficile, anche io mi considero un collezionista con molta musica a casa e anche in auto, rigorosamente in cd”.
Ma sta di nuovo cambiando qualcosa. Simone ne è convinto.
Intanto, le sempre più frequenti mostre-scambio di 33 giri.
“E poi le case discografiche hanno fiutato la moda del vinile che vuol dire anche nuovi giradischi e accessori. Si crea una nuova cultura legata al vintage tecnologico”.
Un risveglio nell’era del digitale? Presto per dirlo.
Al “Tempio” il 70% delle vendite è ancora di classica, il 20% di lirica con il jazz all’ultimo posto con il 10% ma fino alla pandemia Simone Gabbia aveva clienti molto specializzati, americani e inglesi soprattutto: “Musica barocca, Monteverdi, Gabrieli. Vuol dire che la passione resiste,magari sotterranea, non come ai tempi di Bandiera Gialla, delle scoperte di Boncompagni e Arbore,o delle interpretazioni di Del Monaco o della Kabaivanska, ma c’è”.
Dopo più di 80 anni, questo“tempio” nel cuore della città antica ne è ancora un presidio.