È un quadro con molte luci e poche ombre, quello che racconta l’evoluzione dell’ambiente veneto negli ultimi dieci anni. Migliorano ad esempio la qualità dell’aria e dell’acqua, così come la produzione e la gestione della raccolta dei rifiuti. E lo stesso lockdown ha prodotto qualche effetto positivo, anche se restano alcune criticità, a partire dal consumo del suolo e dall’inquinamento luminoso. Lo sottolinea l’Arpav, che, a dieci anni di distanza dal precedente report, ha pubblicato ora il “Rapporto sullo stato dell’ambiente del Veneto 2020”.
Il report
Il lungo documento, relativo ai dati ottenuti dai monitoraggi ambientali, ha l’obiettivo di “rappresentare lo stato di salute delle nostre acque, dell’aria, dei suoli e degli ecosistemi”, come sottolinea nell’introduzione il direttore generale di Arpav, Luca Marchesi.
“Il rapporto – aggiunge l’assessore regionale all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin – è uno strumento di informazione e diffusione della conoscenza ambientale divenuto essenziale nella lotta all’inquinamento e a ogni forma di pressione sull’ambiente non più tollerabile”.
Un documento, prosegue Bottacin, che ha “un ruolo cruciale per tutti gli attori coinvolti nella sfida globale della salvaguardia dell’ambiente perché l’efficacia dei loro strumenti consente di agevolare i processi di condivisione dei piani decisionali e determinare il cambiamento in senso ecologico e sostenibile”.
I temi del rapporto
Il rapporto si articola in 3 sezioni principali. Si parte con presentazione degli indicatori ambientali più rappresentativi per descrivere le varie matrici ambientali, attraverso un’analisi indicativa dei trend per esprimere considerazioni sulla possibile evoluzione futura. Vengono poi illustrati i temi ambientali emergenti, con un approfondimento su alcuni temi ambientali di interesse particolare, come le lagune, gli aeroporti, ma anche gli effetti sull’aria della lavorazione del vetro artistico a Murano.
La qualità dell’aria
Negli ultimi 15 anni si osservano in Veneto considerevoli riduzioni nel trend di concentrazioni di particolato PM10. Nel confronto tra 2005 e 2019, la riduzione percentuale è del 46% per le stazioni di traffico e del 37% per le stazioni di fondo. Ma diminuisce anche il biossido di azoto presente nell’aria, rispettivamente del -38% e del -35% nello stesso arco temporale. Tra le sfide presenti e future, insieme al contenimento dei livelli di polveri fini nell’aria, restano anche quelle relative all’ozono in estate e al benzo(a)pirene in inverno.
I risultati si legano alla generale riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera.
Tra il 2005 e il 2015, ad esempio, le emissioni di ossido di zolfo sono passate da 38 mila a circa 6.500 tonnellate l’anno (-83%), quelle di ossidi di azoto da 112 mila a poco più di 70 mila (-37%). Calano anche le polveri PM10 (-28% nel confronto tra 2005 e 2015), l’ammoniaca (-17.500 tonnellate), il metano (-27%) e il gas serra ossido di di azoto (-34%).
La biosfera
La superficie totale delle aree naturali protette terrestri del Veneto è pari a 94.490 ettari, il 5,1% dell’intera regione. Una percentuale sostanzialmente invariata rispetto all’ultimo precedente aggiornamento, risalente al 2013. Le riserve naturali statali costituiscono il 20,6% della superficie protetta del Veneto, valore più elevato a livello nazionale.
Per quanto riguarda la “Rete Natura 2000”, principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità, in Veneto sono stati individuati 130 siti.
Di questi, 67, per complessivi 353.032 ettari a terra e 571 a mare, sono zone di protezione speciale mentre 104 sono zone speciali di consevazione (366.235 ettari a terra e 3.805 a mare).
Il totale, escludendo le sovrapposizioni, è di 418.147 ettari, pari al 22,6% del territorio regionale, contro una media nazionale del 19,4%.
L’indicatore “Aree protette terrestri”, che esprime il posizionamento del Veneto rispetto al “goal 15” (Vita sulla terra) previsto dall’Agenda 2030, presenta un valore superiore rispetto alla media nazionale: 23% di superficie protetta rispetto al 21,6% italiano.
Quanto alle foreste, nel 2019 la superficie regionale interessata da incendi ha subito un forte decremento, scendendo ben al di sotto della media del periodo 2004/2019, attestata a 131,90 ettari.
Nell’ultimo anno è bruciata infatti “solo” una superficie di 49,87 ettari, di cui 30,94 di boschi.
L’idrosfera
L’indicatore scelto per rappresentare la qualità delle acque potabili del Veneto è la concentrazione di nitrati nelle acque che escono dai nostri rubinetti. La normativa di riferimento fissa un limite massimo di 50 mg per litro. E, anche nel 2019, la nostra regione si mantiene sotto i 36 mg/l di ione nitrato, con valori più elevati per le zone di pianura. L’analisi della tendenza tra il 2007 e il 2019 mostra una situazione sostanzialmente stabile, con un 20% di comuni che hanno fatto registrare un miglioramento.
I criteri di valutazione per le acque marino-costiere e di transizione sono invece cambiati dal 2016, rendendo difficile il confronto con il precedente report. Il rapporto di Arpav conclude comunque che “per alcuni indicatori si osserva una tendenza al miglioramento”.
La normativa, dal 2010 in poi, è mutata anche relativamente alla balneabilità delle acque. La prima classificazione secondo i nuovi parametri microbiologici risale così al 2013. E, sottolinea Arpav, “evidenzia un significativo miglioramento della qualità delle acque di balneazione in Veneto”. In particolare, tutte (tranne quella del lago di Centro Cadore), sono state classificate nel 2019 con un livello almeno “sufficiente”, obiettivo minimo previsto dall’Europa. Quanto alle acque interne, sono stati invece elaborati degli indicatori aggiornati periodicamente da Arpav, in considerazione del fatto che la classificazione dei corpi idrici richiede più anni di monitoraggio.
Geosfera
Riguardo allo stato della qualità del suolo, l’attività svolta da Arpav si è incentrata soprattutto sui rilevamenti e sulla cartografia (raccolte ed archiviate in banca dati circa 32 mila osservazioni), oltre che sul monitoraggio di alcune caratteristiche, come presenza di metalli, di inquinanti organici e inquinanti emergenti, e rilevazione delle qualità biologiche.
Il rapporto dedica un paragrafo all’utilizzo sul terreno dei fanghi provenienti da attività di depurazione. La tendenza alla contrazione, già in atto dal 2005, è accelerata nell’ultimo triennio, quando le superfici agricole impiegate sono passate da circa 1.200 a valori tra i 650 e i 700 ettari.
La provincia di Venezia, con 66 ettari nel 2019, è insieme a Rovigo quella che ha fatto registrare la maggior diminuzione, oltre ad avere il carico unitario per ettaro più basso: 1,94 tonnellate di sostanza secca per anno. Belluno e Verona sono comunque già arrivate ad azzerare le superfici agricole interessate.
Piccola nota dolente, l’andamento del consumo di suolo in Veneto, che ha mantenuto tassi elevati. Anche se, dal picco di oltre 1.100 ettari del 2017, nei successivi due anni si è registrata una leggera flessione, fino ai circa 800 ettari del 2019. La percentuale di suolo consumato in Veneto è dell’11,9%, seconda solo alla Lombardia (12,1%).
Rifiuti
Per la produzione di rifiuti urbani, il dato relativo al 2019, pur leggermente in ripresa rispetto al 2018, conferma il trend degli anni precedenti, in linea con gli obiettivi comunitari.
Se, dal 2000 al 2010, la produzione pro capite aveva fatto registrare un lieve ma progressivo aumento, la successiva inversione di tendenza ha attestato il totale 2019 a 2,311 milioni di tonnellate totali di rifiuti urbani prodotti. Per i rifiuti speciali, l’ultimo dato è invece quello del 2018, con circa 15,5 milioni.
La gestione dei rifiuti urbani del Veneto rappresenta inoltre, sottolinea il rapporto, un’eccellenza a livello europeo. Aumenta sempre più la raccolta differenziata e si diffonde la raccolta domiciliare, contribuendo così a ridurre la produzione di rifiuto residuo e il ricorso alla discarica.
Agenti fisici
Nell’ambiente, sono diffuse diverse sorgenti di radiazioni ionizzanti, naturali o artificiali.
Tra le prime, spicca il radon nei luoghi confinati. Tra le seconde, le contaminazioni da vecchi esperimenti o incidenti, come quello di Chernobyl, ma anche i residui da trattamenti sanitari con radiofarmaci. È comunque la presenza di radon naturale nell’aria, soprattutto nelle aree montane o pedemontane e sui Colli Euganei, la principale fonte di un potenziale rischio sanitario.
Le cosiddette “radiazioni non ionizzanti” sono invece quelle derivanti da campi elettromagnetici. Con l’evoluzione sempre più rapida della rete mobile, sono dunque aumentate sia la densità che la potenza degli impianti. E, purtroppo, anche l’esposizione della popolazione. “In ogni caso – ammonisce il rapporto – l’incremento atteso con la diffusione del 5G non potrà mai portare ad una crescita indiscriminata dei livelli di campo elettromagnetico”.
Il traffico stradale principale fonte di rumore
Quanto all’inquinamento acustico, Arpav monitora annualmente tra le 150 e le 200 sorgenti e, nel 2017, in collaborazione con i Comuni di Padova, Verona e Venezia, ha redatto le prime mappe acustiche strategiche, consentendo di arrivare alla stesura di piani d’azione per migliorare le criticità. È il traffico stradale, in tutti i casi presi in considerazione, la principale fonte di esposizione della popolazione al rumore.
Il nodo dell’inquinamento luminoso
Pur presentando una situazione sostanzialmente stabile, con analisi di trend statistico ancora da confermare che sembrano indicare un sia pur leggero miglioramento, il Veneto è invece, purtroppo, una delle regioni italiane che presentano il maggior inquinamento luminoso. Per il monitoraggio, in ogni caso, è attiva una rete di 15 centraline sparse sul territorio.
Clima e rischi naturali
Gli studi condotti da Arpav, pur con diverse peculiarità, evidenziano per il Veneto “un quadro in linea con altre regioni del Nord Italia e coerente con l’attuale fase di riscaldamento globale” relativamente all’aumento delle temperature. Resta invece estremamente variabile il dato relativo alla tendenza delle precipitazioni. Uno dei rischi naturali che interessano la nostra regione resta così anche quello delle valanghe, strettamente correlato all’evoluzione climatica.
I rischi antropogenici
Tra i cosiddetti “rischi antropogenici”, il principale è sicuramente il rischio industriale.
In questo campo, il numero complessivo di stabilimenti a rischio di incidente rilevante è diminuito negli ultimi anni, anche se “si registra un aumento della percentuale di stabilimenti di soglia superiore”. Venezia, con Porto Marghera, è il comune con i valori più alti dell’indicatore legato alle quantità e alle tipologie di sostanze pericolose. I siti contaminati in Veneto sono 2.891, anche se in molti casi si tratta di contaminazioni relativamente limitate nello spazio e nel tempo. E oltre il 60% dei siti ha concluso il procedimento amministrativo con la bonifica o un esito favorevole dell’analisi di rischio.
I temi ambientali emergenti: gli effetti del lockdown
La terza parte del rapporto, quella dedicata ai “temi ambientali emergenti”, affronta argomenti come il 5G, i cambiamenti climatici, l’economia circolare, la strategia marina, le specie esotiche, i Pfas e altre sostanze emergenti. Si apre però con le valutazioni legate agli effetti del lockdown. La prima considerazione esposta è che “le misure di restrizione hanno comportato la riduzione delle emissioni di alcuni settori chiave, tra cui, in primis, i trasporti”. Una riduzione ben visibile per gli ossidi di azoto, con un -36% tra il 25 marzo e il 26 aprile. Il dato risulta invece più difficilmente valutabile per il PM10, anche se si è registrato un -17% tra il 4 e il 17 maggio. Considerando l’intero periodo tra l’1 marzo e il 31 maggio, la stima è quella di un risparmio di poco meno di 5.000 tonnellate di ossidi di azoto (-28%) e di circa 150 tonnellate di polveri di PM10 primario (-5%) emesse nell’aria.
Vi è stata inoltre una riduzione di inquinamento acustico e luminoso. Quest’ultimo più evidente in città e in pianura ma apprezzabile anche nelle località montane. Il calcolo percentuale riportato, con riferimento specifico alla città di Padova, è pari al -20% nella prima parte della notte.