Cento Paesi sottoscrivono l’accordo per lo stop alla deforestazione.
Riuniti a Glasgow, in Scozia, alla conferenza sul clima COP26 fino al 12 novembre, i principali leader mondiali hanno raggiunto un accordo in questa direzione.
Lo faranno entro il 2030, con un investimento da 19,2 miliardi di dollari: 12 stanziati dai singoli Paesi e 7 da società private.
Tra coloro che hanno aderito all’accordo vi sono, oltre alle più grandi economie del mondo come Stati Uniti e Cina, anche Brasile, Russia, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo, che ospita la seconda foresta tropicale più grande del mondo. I cento Paesi firmatari ospitano l’85% delle foreste mondiali e tra questi c’è anche l’Italia.
L’importanza del verde
L’impegno annunciato alla COP26 prevede una serie di propositi per fermare la deforestazione e incentivare pratiche più sostenibili per l’agricoltura e il sostentamento delle popolazioni le cui condizioni di vita dipendono dalle foreste. Basti pensare che oggi una parte considerevole delle foreste viene abbattuta o bruciata per fare spazio a coltivazioni o aree di allevamento intensivo.
Tra i Paesi che hanno aderito all’accordo, 28 hanno preso impegni ben precisi.
Questi infatti elimineranno l’utilizzo della deforestazione dalle pratiche agricole e commerciali per la produzione di olio di palma, soia e cacao, che sono alcune delle colture maggiormente responsabili del fenomeno.
«Questi grandi ecosistemi brulicanti, queste cattedrali della natura, sono i polmoni del nostro Pianeta» – ha sottolineato nel corso della conferenza il premier britannico Boris Johnson -.
L’impegno tra elogi e perplessità
Se da un lato l’impegno contro la deforestazione è stato elogiato dall’organizzazione no profit Energy and Climate Intelligence Unit, dall’altro molti attivisti l’hanno giudicato insufficiente perché si tratta una promessa non vincolante dei governi e, come tale, non ci sarebbero conseguenze in caso di violazioni. Già nel 2014 e 2017 vi furono simili accordi che non portarono poi a particolari risultati. Un esempio è il Brasile, dove il leader Bolsonaro ha consentito che la deforestazione amazzonica arrivasse ai suoi massimi da oltre 12 anni.
«Per affrontare la minaccia dei cambiamenti climatici – ha affermato la regina Elisabetta d’Inghilterra rivolgendosi con un videomessaggio ai leader della COP26 – non è più il tempo delle parole ma dell’azione. E’ necessario elevarsi oltre la politica spicciola e dare prova di qualità da veri statisti per dare un futuro più sicuro e stabile al pianeta. Occorre pensare ai figli, ai nipoti, alle generazioni che verranno».
Il decennio decisivo sul clima
Il premier italiano Mario Draghi a conclusione della prima giornata di lavori della conferenza ha dichiarato: «Quello che rende complicato il negoziato per affrontare il cambiamento climatico è che i Paesi hanno diverse condizioni di partenza. Vi sono i Paesi ricchi che emettono più di altri perché non hanno intrapreso un percorso efficace di riduzione delle emissioni come ha fatto l’Ue. Le emissioni globali della Cina sono al 28%, quelle dell’Europa all’8%, mentre quelle degli Stati Uniti al 17-18%. Un altro aspetto da considerare è che i Paesi sono a un diverso stadio del loro sviluppo. Per combattere il climate change serve una task force economica tra Banca Mondiale e privati per elaborare proposte concrete».
Il presidente del Consiglio Draghi ha anche sottolineato che il cambiamento climatico ha gravi ripercussioni sulla pace e la sicurezza globali, può esaurire le risorse naturali e aggravare le tensioni sociali, può portare a nuovi flussi migratori e contribuire al terrorismo e alla criminalità organizzata.
Da parte sua, il premier britannico Boris Johnson ha ribadito che «la minaccia è reale e bisogna agire immediatamente perché le emissioni di carbonio continuano ad aumentare», mentre per il presidente Usa Joe Biden «questo è il decennio decisivo sul clima. Dobbiamo investire nell’energia pulita ed è quello che faremo negli Usa, ridurremo le emissioni entro il 2030. Ognuno svolga la sua parte con piani specifici, soprattutto le nazioni più sviluppate. Non c’è più tempo per restare a guardare, ogni giorno che tarderemo, i costi della non azione aumenteranno».
Oltre le energie rinnovabili
«Nel lungo periodo – ha sottolineato ancora il premier Draghi – dobbiamo essere consapevoli che le energie rinnovabili possono avere dei limiti. La Commissione europea ci dice che potrebbero non essere sufficienti per gli obiettivi prefissati per il 2030 e 2050. Dobbiamo quindi adesso sviluppare alternative praticabili. Impegnarci in riduzioni delle emissioni a partire da questo decennio per evitare che l’impatto del cambiamento climatico diventi catastrofico».
In questo senso, in Italia e nell’Unione europea attraverso il programma Next Generation Eu si sta accelerando la transizione ambientale nelle economie e rendendo la crescita post pandemia più equa e sostenibile.
Silvia Bolognini
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