In Italia oltre 1 mln di persone vive con patologie neurodegenerative. Nuove ricerche offrono speranze per la diagnosi precoce e interventi terapeutici mirati, ma restano sfide legate a costi e efficacia.
In Italia, oltre 1 milione di persone è affetto da patologie neurodegenerative e quasi 900.000 presentano un deterioramento cognitivo lieve, condizione che può evolvere in demenza.
Bastano questi numeri per capire come il problema, che coinvolge anche 4 milioni tra familiari e caregiver, sia in continua crescita. E lo è non solo nel nostro Paese, ma in tutto il Mondo occidentale.
I biomarcatori per la prevenzione dell’Alzheimer
La strada principale per provare a dare risposte a chi si trova ad affrontare una situazione di questo tipo e per ridurre i pesanti impatti sociali e sanitari delle demenze si chiama prevenzione. Non a caso, allora, il mondo della ricerca si sta concentrando sull’identificazione dei possibili segnali che possono aiutare ad anticipare la diagnosi attraverso i cosiddetti biomarcatori. In tal senso, un recente studio dell’Università dell’Illinois ha identificato, nei topi, una proteina che si accumulerebbe nel cervello già nelle primissime fasi della malattia. Ma, proprio relativamente a questo biomarcatore, chiamato amiloide, è attivo da anni un progetto, “Interceptor”, promosso e finanziato nel 2018 da Ministero della Salute e Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), di cui sono stati appena presentati i primi, significativi risultati.
Cura precoce dell’Alzheimer: non per tutti
Il progetto che punta sui biomarcatori per predire la demenza nasce, già a fine 2016, come risposta alla possibile approvazione da parte della Food and Drug Administration statunitense del primo farmaco contro l’amiloide. Si basa innanzitutto sulla considerazione che le terapie sono più efficaci se somministrate precocemente e che le persone con disturbo cognitivo lieve sono a maggior rischio di andare incontro a demenza entro 3 anni.
Al tempo stesso, i nuovi trattamenti che agiscono sui meccanismi biologici di sviluppo della malattia, per cui si attende preso l’approvazione anche dell’Agenzia europea del farmaco, presentano importanti effetti collaterali, richiedendo l’individuazione dei candidati con il miglior rapporto costi/benefici. E poi, hanno costi altissimi, impedendo una somministrazione su larga scala. Inoltre, solo nel 30%-40% dei casi il deterioramento cognitivo lieve progredisce verso la demenza.
Lo studio: verso un modello predittivo
Nel corso del convegno organizzato da Istituto Superiore di Sanità, Policlinico Gemelli e Irccs San Raffaele è stato così presentato un modello utile per la diagnosi precoce e per attuare tempestivi interventi terapeutici e di prevenzione. La combinazione di più biomarcatori può infatti permettere di individuare le persone a maggior rischio di sviluppare demenza tra chi soffre di un disturbo cognitivo lieve, candidati ideali per erogare precocemente i primi trattamenti.
Lo studio, promosso e coordinato da Paolo Maria Rossini, si è concentrato su 351 persone con declino cognitivo lieve, selezionati tra circa 500 volontari arruolati in 19 centri clinici di tutta Italia. Attraverso una serie di esami sono stati valutati 8 biomarcatori e 104 pazienti, durante il follow-up, durato mediamente 2,3 anni, sono progrediti a una forma di demenza, in 85 casi malattia di Alzheimer.
Otto parametri combinati per predire il rischio demenza
I ricercatori hanno così elaborato un elenco di 8 predittori che, combinati tra loro, consentono una valutazione attendibile dell’evoluzione del declino cognitivo verso la demenza. Alcuni di questi parametri sono molto tecnici (Amsterdam IADL, MMSE, volume dell’ippocampo sinistro, rapporto abeta-42/p-tau e parametro combinato di Small Worldness dell’EEG), altri (sesso, età, familiarità per la demenza), più facilmente comprensibili per tutti.
Quel che conta, in ogni caso, è che il modello ha consentito di classificare correttamente l’81,6% delle persone con declino cognitivo lieve, prevedendo sia una conversione a demenza che la stabilità della loro situazione. Il nuovo obiettivo della comunità di ricercatori di Interceptor è ora, in caso di approvazione da parte di Aifa di qualcuno dei nuovi farmaci, quello di validare il modello su un relativamente piccolo numero di soggetti e verificare sul campo la capacità di selezione dei soggetti ad alto rischio e di erogazione e monitoraggio del farmaco.
Alberto Minazzi