Secondo la storiografia romana hanno partecipato alla Guerra di Troia e poi si sono stabiliti qui. Sono i Venetkens (Venetici), la popolazione che ha dato origine al nostro territorio. A Padova la mostra a loro dedicata ne ripercorre la storia
Col termine Venetkens (Venetici) o Paleoveneti, si indica una popolazione indoeuropea che, nella seconda metà del II millennio a.C, si era stanziata nell’Italia Nord-Orientale, sviluppando una propria civiltà, con una precisa cultura materiale e artistica. Questa popolazione si stabilì in un territorio chiamato “la Venezia”, che si stanziava dal ramo estinto del Po nei pressi di Adria, fino al Tagliamento e al nord risaliva i fiumi Adige, Brenta e Piave verso le Alpi del Cadore, che fungevano da confine e da protezione naturale. Padova celebra questa antica e complessa civiltà con una mostra, ospitata fino al 17 novembre al Palazzo della Regione, dal titolo “Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti antichi”: un percorso di ampio respiro, un racconto dal carattere scientifico e, allo stesso tempo, “una rilettura della storia antica del Veneto, inteso come un territorio non arroccato entro confini invalicabili, ma aperto fin dalle sue origini agli scambi e alle influenze esterne”.
Secondo la storiografia romana, i Veneti erano una popolazione proveniente da una remota regione dell’Asia Minore sulle rive del Mar Nero. Espulsi dalla loro patria, furono costretti a partecipare, per sopravvivere, alla leggendaria Guerra di Troia, dove Pilemene, capo indiscusso degli Eneti (venivano così chiamati), trovò la morte. Rimasti quindi, al tempo stesso, senza patria e guida, decisero di affidarsi ad Antenore, il vecchio saggio che avrebbe implorato i reali di Troia di restituire Elena ai Greci, e dopo varie peripezie tra i mari, approdarono sulle coste occidentali del Mar Adriatico settentrionale. Qui si stabilirono dopo aver scacciato gli Euganei, una popolazione autoctona di cui oggi restano pochissime tracce. La ricerca moderna, grazie alle testimonianze archeologiche, si è trovata in sostanziale accordo con quanto sostenuto dalla storiografia latina e dalle sue leggende: i Veneti condividono infatti con i Latini una comune origine in un’area dell’Europa centrale.
Centinaia di oggetti emersi dagli scavi archeologici di tutto il territorio metropolitano raccontano, con estrema precisione, come viveva questo popolo antico, come costruiva le proprie abitazioni e i propri villaggi, come si procurava il cibo per sopravvivere, come si vestiva e i gioielli che usava, come seppelliva i propri morti. L’immagine che ne emerge è quella di una società evoluta e articolata per l’epoca, con un’economia fondata sull’agricoltura, sull’allevamento (celebre quello dei cavalli), sui commerci (per es., quello dell’ambra). La particolarità di ogni ramo della produzione artistica testimonia stretti rapporti con Etruria e Grecia, che scambiavano splendide statuine in bronzo, con la zona del Caucaso, da cui provenivano perle colorate in pasta vitrea e con il lontano Egitto attraverso i pendenti in faience, una sorta di materiale ceramico invetriato.
Gli insediamenti dei Venetici, inizialmente, avevano la struttura di piccoli e rudimentali villaggi collocati tra l’Adige e il Lago di Garda, ma anche nelle zone prealpine della Valbelluna, dal momento che la pianura Padana era ricoperta da boschi e zone paludose. Le loro case, in argilla sostenuta da uno scheletro in legno, con una base in pietra e un tetto di paglia, si sviluppavano attorno ad un focolare, realizzato da una base di argilla sulla quale erano stesi frammenti di ceramiche e ciottoli, utilizzati come materiale refrattario; attorno ad esso si radunava la famiglia. I centri maggiori erano dotati anche di porti marini e fluviali; in quest’ultimo caso con lo scavo di una rete di canali che consentiva un attracco sicuro per le imbarcazioni. Una volta cresciuto e sviluppato il villaggio, venivano costruiti laboratori artigianali: il bronzo era la materia prima fondamentale con cui si creavano splendidi manufatti. Tra questi le situle, una produzione di vasi, per lo più di forma cilindrica, in lamina di bronzo con splendide decorazioni, in cui animali mitologici si inseriscono in scene tratte dalla vita quotidiana, dalla religione e dalla guerra. La particolarissima lingua dei Veneti è attestata in iscrizioni risalenti al VI secolo a.C. che testimoniano un curiosissimo alfabeto simile a quello etrusco e latino. La pratica della scrittura era strettamente connessa al mondo del sacro, ai suoi sacrifici e alle sue divinazioni. Nell’economia di questo popolo, enorme importanza aveva il cavallo, vero e proprio animale totemico della protostoria europea e di quella veneta in particolare. I cavalli dei Veneti erano, infatti, famosi già nell’antichità: allevati per la loro valenza economica e come simbolo di predominio aristocratico e militare nonché noti per la loro straordinaria abilità nella corsa, erano decantati dalle fonti letterarie, ritratti su lamine votive, su monumenti funerari o riprodotti sotto forma di bronzetti. Ai cavalli erano riservati appositi spazi di sepoltura nelle necropoli spesso, (come quella del Piovego, VI-V sec. a. C.), accanto all’uomo che li aveva allevati.
Con la fondazione della città di Aquileia del 181 a.C. e il conseguente arrivo dei Romani e della loro tradizionale forma di occupazione, i Veneti giunsero ad un progressivo e pacifico adeguamento ai nuovi costumi, fino all’inserimento amministrativo nella struttura romana. Sottomessi da Cesare, che ne sedò anche una rivolta, furono poi identificati come Gallia Cisalpina per diventare infine, nell’ordinamento augusteo, parte della decima regione (Venetia et Histria).